The most exciting phrase to hear in science, the one that heralds the most discoveries, is not "Eureka!", but "That's funny..." (Isaac Asimov)

mercoledì 7 ottobre 2009

Tutto su Ardi

Pezzo scritto originalmente per Pikaia e pubblicato giusto oggi, lo riporto qui fresco di stampa

Era qualche anno che si aspettava questo momento, fin dallo studio svolto sui primi reperti e pubblicato più di un decennio fa, e finalmente Ardipithecus ramidus fa in questi giorni la sua entrata in scena in grande stile con uno speciale totalmente dedicato su Science (liberamente accessibile, dopo una semplice registrazione gratuita, a questo indirizzo); cosa c'è di tanto interessante, e importante, in questo ominide vissuto circa 4 milioni di anni fa? Fno ad oggi, al di là del valore che ogni fossile di ominide così arcaico ha di per sé, potevamo solo intuirlo. I nuovi reperti recuperati dal gruppo di ricerca diretto da Tim White, però, hanno contribuito a ricostruire questo nostro possibile antenato (non è scontato difatti che si trovi direttamente sulla nostra linea di ascendenza, anche se è probabile) meglio di quanto non fosse mai stato fatto con un reperto così antico, rendendo così possibili osservazioni cruciali sull'evoluzione dei nostri antenati pliocenici e sull'aspetto degli antenati comuni, vissuti un paio di milioni di anni prima di Ardi (questo il nomignolo del fossile-tipo di Ardipithecus ramidus), tra noi e gli scimpanzé.

Ardi è, per usare le parole di Tim White, uno “strano collage”, e in generale assomiglia agli ominidi successivi molto più di quanto ci si aspettasse; cosa significa tutto questo? Vediamo prima in dettaglio di cosa stiamo parlando. La parte superiore del corpo di questa specie ci racconta di una vita passata sugli alberi: braccia lunghe e grandi mani dalle dita curve per muoversi tra le fronde aggrappandosi ai rami con presa salda. Fin qui niente di strano, sono adattamenti che ritroveremo anche nelle cronologicamente successive australoopitecine e nelle antropomorfe odierne, ma se si scende fino al bacino e oltre cominciano le sorprese: a quanto pare Ardi passava del tempo al suolo camminando su due piedi, senza aiutarsi con gli arti superiori.

Le ossa delle pelvi, per prima cosa, sono molto diverse da quelle degli scimpanzé e dei gorilla: in queste scimmie antropomorfe, che a terra camminano sulle nocche delle mani, sono quasi piatte e formano un apertura più stretta, mentre in Ardipithecus ramidus hanno una forma maggiormente “tondeggiante” e assomigliano di più a quelle delle australopitecine e degli ominidi nostri antenati di là da venire. Questa forma delle pelvi è un evidente adattamento per la posizione eretta, in quanto dona un supporto maggiore alle viscere durante la camminata bipede. Se si osserva il femore inoltre le prove che si spostasse in questa maniera sul terreno aumentano, perché questo formava con tibia e perone un angolo invece di disporsi in linea retta: un altro indizio che ci permette di affermare con sicurezza almeno una cosa: Ardi non camminava sulle nocche. Non bisogna però pensare a lui come a uno scimmione che se ne andava tranquillamente a passeggio per la savana, perché è molto probabile che camminasse solo ogni tanto su due piedi e passasse invece la buona parte della sua vita sugli alberi. Se si osserva il piede, in particolare, si nota che questo presenta un alluce estremamente divergente molto simile a quello delle antropomorfe, che inoltre è piatto invece che arcuato come il nostro ma, a differenza di gorilla e scimpanzé, possiede quel piccolo osso che nelle scimmie non antropomorfe (e negli esseri umani) permette di mantenere il piede rigido. Ardi poteva quindi compiere solo brevi tragitti con un incedere che a noi sembrerebbe goffo (probabilmente ondeggerebbe un po', come le anatre), e tuttavia la sua locomozione era molto diversa da quella delle scimmie antropomorfe oggi viventi, tanto che i recenti studi che hanno proposto una locomozione diversa da quella di scimpanzé e gorilla per i nostri antenati comuni con loro (Pikaia ne ha parlato qui) ricevono ulteriore credito da questo ominide pliocenico.

Lo speciale di Science affronta anche gli aspetti riguardanti all'ambiente abitato da questa specie, che secondo l'ipotesi del gruppo di studiosi scendeva così spesso al suolo perché aveva una dieta molto più generalizzata degli scimpanzé odierni e quindi necessitava di sfruttare nuove fonti di cibo; tuttavia gli aspetti più interessanti (che occupano gli ultimi due articoli) sono sicuramente quelli riguardanti le implicazioni che Ardi ha per quanto riguarda l'aspetto del nostro antenato comune degli scimpanzé e il suo posto nella nostra filogenesi.

A quanto pare scimpanzé e gorilla si sono specializzati, lungo il corso dei milioni di anni, molto più di quanto (forse ingenuamente) non si fosse portati a credere. Generazioni di scienziati hanno considerato le antropomorfe africane come delle buone approssimazioni del nostro antenato comune con loro, ma questo e altri studi (come le già ricordate ricerche che mettono in dubbio l'origine comune della camminata sulle nocche per scimpanzé e gorilla) ci aiutano finalmente a perdere quella che forse è l'inconscia arroganza di voler essere “più evoluti” dei nostri “cugini” africani. A quanto pare entrambi siamo cambiati molto nel differenziarci dal nostro antenato comune: non siamo quella scimmia speciale che ha deciso di “elevarsi” lasciando indietro le altre, come spesso può capitare di pensare ai più ingenui.

Per quanto riguarda il posto di Ardi nella filogenesi degli ominidi, invece, la situazione si fa più difficile da districare. La proposta di Tim White, coerente con le sue teorie espresse già negli anni passati, è che Ardipithecus ramidus sia una cronospecie, ovvero uno stadio particolare di una lunga e diretta linea di discendenza, di una stessa specie che sarebbe “cominciata” con Ardipithecus kadabba e proseguita attraverso Australopithecus anamensis fino ad Australopithecus afarensis, dopo il quale la linea si sarebbe divisa in due: da un lato le altre australopitecine, dall'altro gli uomini. Non eventi continui di speciazione, quindi, ma una lunga linea di discendenza che man mano ha preso forme diverse per adattarsi al mutare dell'ambiente. Assieme a questa, in ogni caso, gli autori dello studio presentano altre due ipotesi in contrasto con la precedente: potrebbe esserci stato un evento di speciazione tra l'ultimo Ardipithecus e il primo Australopithecus oppure Ardipithecus ramidus potrebbe essere il frutto di una divisione ancora più antica nel ramo degli ominidi. La sistemazione di un reperto così antico in una filogenesi porta sempre con sé notevoli difficoltà e si presta spesso più che altro a essere utilizzato per confermare le proprie ipotesi di partenza: per questi motivi non mancheranno certo discussioni e diatribe, ma queste sono spesso il vero motore delle ricerche scientifiche.


Da qui si accede agli 11 articoli dello speciale di Science
Da qui si accede ad una galleria d'immagini
Da qui si accede ad alcune interviste a Tim White (1, 2, 3, 4)

domenica 4 ottobre 2009

Arriva Ardi

Sto preparando il pezzo per Pikaia, nel frattempo siccome forse avrete sentito che Ardipithecus ramidus (un ominide molto molto antico, molto più della famosa Lucy per dire) ha finalmente un buon numero di ritrovamenti fossili e uno speciale tutto tuo su Science (a proposito, potete averlo con una semplice registrazione gratuita!) qualche buon link per chi proprio non sa aspettare (e legge l'inglese).

Ecco a voi quindi:

Il prevedibilmente ottimo post di Laelaps

Zinjianthropus uno e due


Immigrati dell'età della pietra

L'arrivo di Homo sapiens in Europa

Pezzo originalmente pubblicato su Pikaia


Cosa è successo tra 48.000 e 30.000 anni fa, ovvero nel periodo compreso tra la prima attestazione della presenza sapiens in Europa e il momento in cui solo questa specie di Homo abitò il continente? John Hoffecker ha recentemente fatto il punto della situazione in un bell'articolo scritto per PNAS, offrendo una buona occasione per riassumere brevemente le conoscenze a riguardo anche qui, rimandando comunque a questo lavoro per una trattazione particolarmente esaustiva. L'uomo anatomicamente moderno si è evoluto in Africa e ne è poi uscito per diffondersi in tutto il mondo un poco alla volta, ma quando e come è arrivato in Europa? inoltre, qui ha incontrato un altra specie umana, i Neandertal, com'è stato il loro incontro? sono domande alle quali è complicato rispondere, il che le rende particolarmente interessanti. Ci sono alcuni motivi in particolare che rendono difficoltose queste ricerche, innanzitutto la natura dei ritrovamenti che finora hanno restituito scarsissimi reperti umani e che perlopiù consistono in strumenti litici non sempre facilmente attribuibili.

Le prime evidenze di presenza dell'uomo anatomicamente moderno in Europa risalgono a 48.000 anni fa e sono localizzate nell'area centro-sud-orientale del continente, tra la Polonia e la Bulgaria. La loro attribuzione è basata unicamente sul ritrovamento di artefatti, assegnati alla cultura Bohuniaziana (dal sito di Brno-Bohunice in Moravia), molto simili a quelli ritrovati nel Vicino Oriente (Israele, Libano e Turchia) e appartenti all'industria litica chiamata Emiranom incontrovertibilmente associata con l'uomo anatomicamente moderno, tuttavia è ormai accettata da buona parte degli archeologi. Similmente anche ritrovamenti più recenti, databili a circa 45.000 anni fa, in Europa centro-meridionale di strumenti litici detti Proto-Aurignaziani sono attribuiti all'uomo anatomicamente moderno solo sulla base della somiglianza con un cultura, l'Ahmariano, del Vicino Oriente e incontrovertibilmente sapiens. Questi due gruppi di testimonianze rappresentano molto probabilmente le due ondate migratorie con le quali Homo sapiens è arrivato inizialmente in Europa dal Vicino Oriente e attraversando i Balcani, segnando l'inizio di una nuova era per questo continente. Altre vie d'ingresso, come la penisola Iberica e il Caucaso, sembrano meno probabili poiché in queste aree l'uomo di Neandertal è presente fino a un'epoca molto tarda.

I siti di cui si è detto fin qui, così come quelli dell'Europa centrale dove si ritrovano le stesse culture litiche, mostrano inoltre un ulteriore aspetto dell'immigrazione sapiens in Europa: innovazioni negli strumenti litici e nell'organizzazione dei siti, che in seguito si succederanno a una velocità vertiginosa permettendo il perfetto adattamento dell'ambiente alle esigenze della nostra specie. Se infatti in un primo momento questa venne favorita dal clima divenuto temporaneamente più mite, uno dei motivi per cui l'Homo sapiens riuscì ad affermarsi in una nicchia ecologica per la quale i Neandertal erano decisamente più adattati fu un costante progresso tecnologico, che adattava sempre meglio l'ambiente alle esigenze della specie.

La questione del rapporto tra Homo sapiens e Homo neanderthaliensis è infine complicata da due ordini di testimonianze che apparentemente si contraddicono a vicenda: da un lato l'analisi del genoma dell'uomo contemporaneo, dei CroMagnon e dei Neandertal indica come questi ultimi non abbiano lasciato tracce nel nostro DNA (sia nucleare che mitocondriale), dall'altro lato alcuni reperti ambigui e apparentemente ibridi (se n'è parlato anche qui su Pikaia) sembrano raccontare una storia diversa, e alcuni ritrovamenti di strumenti costruiti da un taxon con le ossa dell'altro complicano il quadro. Comprendere la maniera in cui l'uomo anatomicamente moderno si è affermato in Europasarà difficile finché non verrà risolta la questione del rapporto coi Neandertal, tuttavia questa è probabilmente la sfida più interessante per chi si occupa dell'Europa preistorica.

Riferimenti

John F. Hoffecker, "The spread of modern humans in Europe", PNAS

venerdì 2 ottobre 2009

L'ingegnere della giungla

scimpanzé e cassette degli atrezzi


Pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Anche dopo cinquantanni di ricerca sul campo gli scimpanzé non smettono di stupire per il loro modo ingegnoso e flessibile di costruire strumenti e trovare nuove soluzioni per sopravvivere. I risultati del recente studio pubblicato sul Journal of Human Evolution da Christophe Boesch, del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig, e svolto tra gli scimpanzé dell'Africa centrale (Pan troglodytes troglodytes) a Loango in Gabon confermano difatti le scoperte fatte da Sanz e Morgan, ricercatori presso lo stesso istituto, nel triangolo di Goualougo nella vicina Repubblica Democratica del Congo, recentemente riesaminate dagli stessi autori per l'International Journal of Primatology.

Quello che colpisce maggiormente dei comportamenti di uso di strumenti osservati in questi due siti e che non è stato ancora riscontrato in altre zone dell'Africa è una caratteristica particolarmente raffinata, ovvero l'uso seriale di utensili e quindi la creazione di veri e propri “set” utilizzati poi per raggiungere lo scopo prefissato. L'innovazione tecnologica più interessante tra quelle osservate daBoesch è rivolta a recuperare il miele dagli alveari, sia quelli sotterranei che quelli posti sugli alberi a venti metri di altezza o al livello del terreno all'interno dei tronchi caduti al suolo: in questi casi gli scimpanzé possono rompere l'alveare con un grosso ramo, allargare il buco con una leva più piccola e quindi inserire un ultimo ramoscello, ancora più sottile, per estrarre il miele. In alcuni casi, infine, sono stati visti gli scimpanzé utilizzare pezzi di corteccia per raschiare ulteriore miele dall'alveare e, ancora più interessante, sottili sonde per individuare gli alveari sotterranei. Questa fonte di cibo non sembra particolarmente nutritiva in rapporto alle energie utilizzate per ottenerla, e si può dire che l'unico scopo che spinge questi animali a utilizzare una sequenza di cinque strumenti, la più lunga mai registrata, sia la golosità.

Una fonte di cibo più tipica della specie sono le termiti, e uno dei set di strumenti osservati da Sanz e Morgan riguardanti questo tipo di approvvigionamento ricorda molto i risultati dello studio di Boesch. Tra gli scimpanzé del triangolo di Goualougo capita infatti che termitai sotterranei vengano dapprima individuati con sonde sottili, quindi raggiunti scavando con un bastone reso appuntito e infine “pescati” alla classica maniera degli scimpanzé. É bene precisare che anche a Goualougo gli scimpanzé si nutrono di miele estratto dagli alveari, seppure non lo estraggono dagli alveari sotterranei, e in buona sostanza gli scimpanzé di queste due aree condividono comportamenti simili che fanno pensare a un'origine comune e a una trasmissione regionale per via culturale, cosa di cui questi animali sono ormai quasi univocamente considerati capaci.

Le implicazioni di queste scoperte sono notevoli, specialmente se si considerano altre osservazioni fatte in questi due luoghi. Lo stesso ramo, ad esempio, è a volte lavorato in due maniere diverse per lato così da servire a due scopi diversi, e in generale queste scimmie ottengono strumenti diversi dallo stesso materiale di partenza, ovvero una particolare pianta che può essere usata per pescare sia termiti che formiche arboricole a seconda della maniera in cui viene preparata. Sembra quindi fuor di dubbio che comprendano la funzione degli strumenti che creano, e che li costruiscano in funzione di essa. Il semplice fatto di utilizzare serie di strumenti inoltre dimostra la loro raffinata capacità di progettare le loro azioni in vista di uno scopo futuro, specie se si considera che strumenti particolarmente pesanti come il primo della sequenza del miele (quello utilizzato come ariete per creare un buco nell'alveare) vengono lasciati vicino all'alveare a svariati metri di altezza per essere riutilizzati in futuro invece che lasciati cadere al suolo come capita agli altri utensili.

L'ipotesi di Sanz e Morgan sul perché queste raffinate tradizioni tecnologiche si trovino solo qui in Africa centrale è che queste siano nate per necessità, dato che nella regione gli scimpanzé convivono con i gorilla in molte aree, e poi tramandate alla maniera in cui tanti altri comportamenti del genere si sono fatti strada tra le popolazioni di scimpanzé in Africa. Inoltre prende sempre più forza l'ipotesi che anche prima dell'emergere della cultura olduvaiana circa 2,5 milioni di anni fa i nostri antenati facessero uso di strumenti complessi, ricavati non dalla pietra ma da altri materiali troppo facilmente deperibili per poter essere ritrovati oggi negli strati archeologici.

Una cosa certa, ad ogni modo, è che queste nuove scoperte rendono ancora più labili le differenze tra gli strumenti dell'uomo e quelli delle scimmie antropomorfe. Il vecchio concetto di Homo faber, che marcava un confine tra noi e i nostri parenti prossimi, si scontra quindi e per l'ennesima volta con Pan, la scimmia che da cinquantanni ci ricorda da dove veniamo.


Riferimenti:

Crickette M. Sanz and David B. Morgan, "Flexible and Persistent. Toolusing Strategies in Honeygathering by Wild Chimpanzees", International Journal of Primatology Volume 30, Number 3, June 2009

Christophe Boesch, Josephine Head and Martha M. Robbins, "Complex tool sets for honey extraction among chimpanzees in Loango National Park, Gabon", Journal of Human Evolution

martedì 29 settembre 2009

[Fwd] Conferenze gratuite al Museo di Storia Naturale di Milano

mi è arrivata giusto oggi una mail:

Il Centro Studi Faunistica dei Vertebrati
della Societa` Italiana di Scienze Naturali

presenta

In viaggio con la natura
Esperienze naturalistiche raccontate in prima persona

Museo Civico di Storia Naturale di Milano
Aula Magna
ore 21
ingresso libero


più in dettaglio le tre serate saranno:

- 27 ottobre 2009
Ospiti discreti nei parchi italiani.
Insieme a Francesco Tomasinelli, biologo e fotogiornalista, e Laura Floris, giornalista e condirettore della Rivista della Natura (Edinat), parliamo di curiosi fenomeni del mondo degli anfibi e dei rettili di casa nostra e andiamo alla scoperta della Rivista della Natura e delle Guide alle aree protette italiane (Edinat). Sarà l’occasione per visitare alcuni luoghi con l’occhio dell’erpetologo e scoprire comportamenti inconsueti.
Moderano l’incontro Anna Pisapia, giornalista scientifica, e Anna Rita Di Cerbo, erpetologa e ricercatrice del CSFV

- 10 novembre 2009
Paradisi europei del birdwatcher.
Giuseppe Brillante, giornalista e fotoreporter, e Stefano Brambilla, giornalista, autori del libro Birdwatching In Europa (Muzzio), ci illustrano alcune delle mete irrinunciabili dove osservare gli uccelli nel vecchio continente. Capiremo i trucchi per diventare birdwatcher provetti, senza dimenticare il galateo e il rispetto per l’ambiente.
Moderano l’incontro: Anna Pisapia, giornalista scientifica, e Stefano Aguzzi, ornitologo e ricercatore del CSFV.

- 24 novembre 2009
L’Ecuador di Darwin.
Marco Ferrari, giornalista scientifico, ed Emanuele Serrelli, biopedagogista, raccontano la loro esperienza in Ecuador, sulle tracce del grande naturalista inglese, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita. Prendendo spunto dal libro Viaggio di un naturalista intorno al mondo di Charles Darwin (Einaudi), vedremo l’attualità delle scoperte che fece allora.
Moderano l’incontro: Anna Pisapia, giornalista scientifica, e Carlo Biancardi, biologo e viaggiatore.

Imho già la combinazione scienza+natura+ingresso libero dovrebbe farvi correre a svuotare l'agenda, e vi ricordo che non stiamo parlando di noiose lezioni universitarie sulle interazioni reciproche degli elementi della tavola periodica* ma di gente che racconta com'è farsi una scampagnata naturalistica in posti stupendi, ma se proprio non siete interessati al birdwatching (pazzi!) almeno non perdetevi Ferrari e Serrelli che, ok sono dei pikaiani come me e potrei quindi essere un filo parziale, meritano ogni minuto del vostro tempo.

Ah, un'ultima importante cosa:

Sede delle conferenze: Museo Civico di Storia Naturale, corso Venezia 55, Milano, tel. 02 88463280 - Info-Point 02 88463337
Come arrivare: M1 Palestro - Passante ferroviario P.ta Venezia




* btw noiose si fa per dire, e a proposito di elementi e reazioni segnalo questo spassosissimo video, il regalo giornaliero di Facebook (di cui sto cominciando a scoprire l'utilità)

venerdì 18 settembre 2009

La caccia alla prima scimmia antropoide si riapre

(Ho deciso che siccome scrivo saltuariamente per Pikaia e qua a destra ho messo pure un link che rimanda a una raccolta dei miei articoli scritti in quella sede, tanto valeva fare un po' di numero e ripostarli anche qui. La data è discrepante per questioni tecniche, in realtà sto postando qualche giorno dopo l'uscita del pezzo su Pikaia)

La caccia alla prima scimmia antropoide si riapre

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Asia o Africa? ecco una domanda che chi si occupa di filogenesi dei primati ha incontrato un numero incredibile di volte, e ancora una volta nuove scoperte rimescolano le carte a favore di uno dei due continenti per quanto riguarda un particolare momento della storia evolutiva del nostro ordine. In questo caso sono nuovi dati su due generi di primati vissuti circa 50 milioni di anni fa nell'Eocene, Algeripithecus e Azibius, a cambiare le carte in tavola. Considerate finora scimmie antropoidi, il gruppo, separato da lemuri, lori, galagoni e simili (che sono invece Strepsirrhine), di cui facciamo parte tra gli altri anche noi umani, la loro datazione così remota era una delle migliori frecce all'arco di chi sostiene l'ipotesi dell'origine africana di questo gruppo.

I primi fossili di Algeripithecus sono venuti alla luce nel 1992, e già da tempo si sapeva dell'esistenza di Azibius, ma in entrambi i casi si trattava di pochi frammenti che portavano con sé qualche difficoltà di attribuzione. Pubblicato sui Proceedings B of Royal Society, lo studio svolto da un team di ricercatori francesi dell'Institute de Sciences de l'Evolution dell'università di Montpellier assieme a paleontologi algerini dell'università di Tlemcen, Oran e Jijel mette finalmente a disposizione una notevole quantità di dati e fa ulteriore chiarezza sulla vicenda.

Il team di ricercatori ha lavorato nel sito di Glib Zegdou, in Algeria Nordorientale, recuperando frammenti del cranio e dei denti dei due primati, comprese alcune mandibole praticamente complete. Proprio dalle mandibole è venuto fuori uno degli indizi più rilevanti nello spostare Algeripithecus (e di conseguenza Azibius, che vi è strettamente imparentato) tra le Strepsirrhine: i canini inferiori presentano un alveolo dentario lungo e piatto, caratteristica che ben si sposa col caratteristico “dente a pettine” dei lemuri, una particolare conformazione di incisivi e canini inferiori che, orientati orizzontalmente verso l'esterno, vengono utilizzati anche per il grooming. Altre caratteristiche dei reperti hanno inoltre evidenziato in Azibius la presenza di adattamenti alla vita notturna, un'altra caratteristica notevolmente diffusa tra le Strepsirrhine.

Ricollocare questi fossili significa spostare di almeno 15 milioni di anni la data in cui si hanno prove certe della presenza di scimmie antropoidi africane, ovvero all'Egitto dell'epoca compresa tra 38 e 30 milioni di anni fa, oltre che riconsiderare la variabilità delle Strepsirrhine dell'epoca che si fa inaspettatamente vasta. Asia o Africa quindi? Questa scoperta non basta di per sé a far pendere la bilancia da un lato o dall'altro della contesa, fa però sicuramente ripartire un dibattito sul quale si era quasi certi di aver raggiunto un punto fermo.

Riferimenti:
Tabuce R, Marivaux L, Lebrun R, Adaci M, Bensalah M, Fabre P-H, Fara E, Gomes-Rodrigues H, Hautier L, Jaeger J-J et al. “Anthropoid vs. strepsirhine status of the African Eocene primates Algeripithecus and Azibius: craniodental evidence”. Proceedings of the Royal Society of London, Published online before print September 9, 2009

martedì 15 settembre 2009

Winter is coming


Se questa vignetta ti fa ancora ridere tutto ok, se la risata comincia a diventare nervosa o ti fa piangere/incazzare allora temo che anche nel tuo paese stia arrivando il creazionismo (ad oggi, poco più di un souvenir USA per chi abita da questa parte dell'oceano). Spero di non doverne parlare in futuro, anche se c'è qualche segno nefasto all'orizzonte (ma non ne parlerò, non meritano nemmeno la poca pubblicità che potrei fare loro)