The most exciting phrase to hear in science, the one that heralds the most discoveries, is not "Eureka!", but "That's funny..." (Isaac Asimov)

mercoledì 30 dicembre 2009

Il blog ha ora una mascotte!


Un bellissimo regalo di natale e un ottimo motivo per tornare a Londra entro il prossimo dicembre :)

sabato 28 novembre 2009

Gioco di squadra, gioco da iena

ride bene chi lo fa insieme

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia


Un branco di iene o lupi è qualcosa più dell'insieme degli individui che lo compongono, poiché è la collaborazione la chiave del loro successo. Non è strano quindi che i carnivori sociali siano particolarmente portati ad aiutarsi a vicenda, in fondo ne va della loro sopravvivenza; tuttavia pochi studi sperimentali erano stati fatti fino ad oggi per valutare l'efficacia di questa loro capacità di collaborazione, principalmente perché i test riguardanti abilità cognitive complesse sono stati riservati perlopiù a specie dotate di un grande cervello e in particolare ai primati. Proprio per questi motivi Christine Drea della Duke University ha deciso di valutare le capacità di alcune iene maculate (Crocuta crocuta) di risolvere dei compiti che richiessero la collaborazione di due esemplari e i risultati di questo studio sono stati pubblicati recentemente su Animal Behaviour.

L'esperimento è stato sottoposto dalla Drea a coppie di esemplari e richiedeva in breve che queste tirassero contemporaneamente una corda ciascuna, compiendo un movimento molto simile a quello che viene fatto in natura dai membri di questa specie per abbattere una preda, ottenendo in cambio una ricompensa in cibo; è da aggiungere che le iene potevano scegliere tra due piattaforme entrambe presentanti due corde (e relativa ricompensa in cibo) disponibili, questo per evitare il più possibile che l'azione simultanea fosse un risultato del caso. Quello che, parole sue, ha lasciato la ricercatrice decisamente a bocca aperta è l'incredibile velocità con cui la prima coppia, e in seguito tutte le altre (in totale sono state esaminate 13 coppie), ha risolto l'esercizio: meno di due minuti, un tempo molto più breve ad esempio di quello che serve a degli scimpanzé per imparare a svolgere compiti comparabili. Dopo pochi tentativi riusciti, inoltre, le iene evitano di tirare la propria corda se l'altra non è in posizione, e sembrano comprendere quindi il ruolo del proprio partner nell'ottenere il cibo. Curiosamente, nel collaborare per risolvere questi esercizi le iene non emettono suono alcuno mentre in natura la caccia cooperativa è scandita da specifici versi che questi animali emettono per comunicare tra loro.

Andando avanti con l'esperimento si è tentato di stabilire se e in che maniera l'aspetto sociale potesse interferire con questo genere di attività. Dapprima sono state semplicemente aggiunte delle iene “spettatrici”, in presenza delle quali si è notato che animali già esperti risolvevano il problema più velocemente. In una fase successiva si è invece cercato di capire in che maniera il tipo di appaiamenti influisce sul risultato, scoprendo innanzitutto che due iene dominanti lavoravano molto male assieme, e in seguito che un esemplare dominante esperto appaiato a un subordinato inesperto modificava a tal punto il suo comportamento da “rinunciare” temporaneamente alla dominanza, seguendo l'altra iena nel risolvere il compito finché quest'ultima non raggiungeva una certa esperienza e solo allora riprendendo il suo ruolo dominante. A quanto pare in questo genere di compiti una iena non può fare a meno di essere influenzata dai rapporti sociali che ha instaurato.

La dottoressa Drea non sostiene però, è bene precisare, che le iene siano più intelligenti degli scimpanzé o che non vi siano differenze tra le due specie ma, e i risultati del suo studio sembrano puntare in questa direzione, che queste siano molto più “adatte” (o adattate) alla collaborazione sociale intraspecifica di quanto non lo siano gli scimpanzé o altre specie di primati.


Riferimenti:
Christine M. Drea, Allisa N. Carter, “Cooperative problem solving in a social carnivore” Animal Behaviour Volume 78, Issue 4, October 2009, Pages 967-977


lunedì 23 novembre 2009

Amici di lunga data

Dove, come e quando l'uomo inventò il cane

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia


Se avete comprato LeScienze del mese scorso (ovvero il numero di Agosto 2009 - n.d.A.) e siete rimasti affascinati dall'articolo che riportava la scoperta della provenienza di uno degli animali più conosciuti e amati, il gatto domestico (che è comparso in Medio Oriente circa 10.000 anni fa), non potrete che accogliere con lo stesso interesse uno studio analogo svolto di recente sull'altro inseparabile compagno dell'uomo, il cane. Labrador, cani lupo, chihuahua e barboncini (così come le altre razze canine) appartengono difatti tutti alla stessa sottospecie, Canis lupus familiaris, della specie a cui appartengono i lupi grigi (Canis lupus), i loro più probabili predecessori; hanno perciò avuto tutti la stessa origine, anche se in seguito sono andati incontro a notevoli diversificazioni soprattutto per l'azione dell'uomo che ne ha selezionati i tratti peculiari nelle diverse linee di discendenza. Dove, quando e in che maniera questo sia avvenuto, però, è rimasto a lungo un mistero e ha dato luogo anche in tempi recenti a lunghi dibattiti in seno alla comunità scientifica.

Lo studio, svolto da membri dell'Istituto Reale di Tecnologia a Stoccolma in collaborazione con un team di ricerca cinese, è l'ideale continuazione di quello pubblicato nel 2002 dallo stesso istituto, dove il genetista Peter Savolainen aveva affermato l'origine unica ed est-asiatica del cane, pur non potendo all'epoca essere più preciso di così. Proprio questo studio era stato di recente messo in discussione da un lavoro di Adam Bokyo e Carlos Gustamante, biologi computazionali presso la Cornell University, che analizzando il genoma di cani africani addomesticati avevano dichiarato di avervi trovato una variabilità genetica paragonabile a quella individuata da Savolainen nel 2002: poiché il cane non è stato sicuramente addomesticato in Africa (dove non sono presenti i lupi grigi), questo risultato sembrava indicare l'inaffidabilità di questo parametro.

Questo nuova ricerca però, pubblicata su Molecular Biology and Evolution, porta una nuova e notevole messe di dati e giunge a conclusioni più precise e sicure. Savolainen e i suo collaboratori cinesi hanno difatti esaminato un piccolo tratto di DNA mitocondriale in più di 1500 cani distribuiti tra Asia, Europa e Africa (alcuni erano razze ben definite, altri semplici cani da lavoro presenti in aree rurali oltre a 40 lupi; inoltre, il gruppo di ricercatori ha anche sequenziato l'interno DNA mitocondriale di 8 lupi e 169 cani rappresentanti lo stesso range di diversità del precedente campione. In questi casi il risultato atteso è una maggiore diversità nel luogo in cui una specie ha avuto origine (dovuto alla maggiore diversificazione alla quale quei primi esemplari sono andati incontro), e in particolare un maggior numero di Haplogruppi, “raggruppamenti” di mtDNA simili: questo particolare punto di massima diversità corrisponde, secondo questi dati, a una regione a sud del fiume Yangtze, in Cina. A ulteriore conferma di questo risultato, man mano che ci si allontana da questa regione le differenze tra il DNA mitocondriale dei vari individui diminuiscono fortemente, ad esempio in Europa sono presenti solo 4 Haplogruppi.

Un altro aspetto interessante messo in luce da questo studio è che il pool genico dal quale hanno avuto origine i primi cani era molto più ampio di quanto ci si aspettasse, segno che l'usanza di addomesticare i lupi era diffusa e ben consolidata tanto che erano svariate centinaia di loro a vivere assieme a quegli antichi cinofili. Come tante altre specie addomesticare dall'uomo anche il cane ha svolto un ruolo importante nella nostra Storia, ed è ormai così strettamente inserito nella nostra vita di tutti i giorni da dare l'impressione che sia sempre stato un nostro compagno di viaggio, un viaggio che però, a quanto pare, è cominciato solo 16.000 anni fa.


Riferimenti:


lunedì 9 novembre 2009

La Teoria dell'Evoluzione in 2 minuti

via Pharyngula, segnalo una raccolta di video molto belli che spiegano la teoria dell'evoluzione in due minuti, frutto di un concorso indetto dalla rivista Discover Magazine. Sono tutti in inglese, ma data la loro brevità e semplicità non dovreste avere problemi anche se ne avete solo un'infarinatura.

Qui il sito del concorso, il vincitore è "Evolution in 120 seconds", un piccolo gioiellino dal quale vi consiglio di cominciare (ma non dimenticate gli altri!)

Dagli alberi al bipedismo

Scendere o salire?

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia


La lenta camminata dello scimmione che alzandosi su due piedi diventa uomo è una delle rappresentazioni più famose e diffuse dell'evoluzione umana, anche se per chi mastica anche solo un poco la teoria darwiniana è decisamente un'eresia: non esiste difatti una direzione nella storia evolutiva, e i nostri antenati non sono “diventati uomini” ma, più prosaicamente, una delle loro linee di discendenza ha accumulato variazioni che hanno portato alla nostra specie e in particolare alla statura eretta. Questa immagine potrebbe inoltre essere sbagliata anche in un altro senso se come sembra sempre più probabile (e l'ipotesi di per sé è antica come la teoria dell'evoluzione stessa) i nostri antenati non camminavano affatto sulle nocche alla maniera di gorilla e scimpanzé.

La diatriba si è finora polarizzata in due fazioni: chi credeva che le somiglianze nella locomozione di scimpanzé e gorilla (le scimmie antropomorfe viventi più vicine filogeneticamente alla nostra specie), entrambi camminatori sulle nocche, fossero un forte indizio della presenza dello stesso comportamento nei nostri ultimi antenati comuni, e chi invece trovava più probabile che sulla nostra linea evolutiva si posizionassero, prima della comparsa di specie adattate a passare buona parte del loro tempo muovendosi su due piedi a terra, solo primati arboricoli. Alcune scoperte, come ad esempio la presenza in Australopithecus afarensis (che però non è un nostro antenato diretto) di caratteristiche degli arti adatte a una vita parzialmente arborea sembravano dare credito a questa seconda visione, mentre alcuni tratti tipicamente considerati adattamenti alla camminata sulle
nocche ritrovati in molti fossili di ominini estinti raccontavano una storia diversa. Proprio questi ultimi tratti però (o almeno una parte consistente di essi) sono stati recentemente riesaminati e reinterpretati da Tracy Kivell del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig e Daniel Schmitt della Duke University di Durham.

Lo studio, pubblicato di recente su PNAS, mette innanzitutto in evidenza come le locomozioni di scimpanzé e gorilla siano molto meno simili di quanto si pensasse finora. Prendendo in esame il comportamento e le ossa del polso di più di 200 tra scimpanzé, bonobo e gorilla il gruppo di ricerca ha mostrato come le particolari caratteristiche che permettono a scimpanzé e bonobo (sono state trovate rispettivamente nel 96% e nel 76% dei campioni esaminati) di camminare agevolmente sulle nocche siano praticamente assenti nei gorilla (sono state trovate solo nel 6% del campione esaminato). I gorilla devono difatti stendere completamente braccio e polso in quella che Kivell chiama “columnar stance” (ovvero “posizione a colonna”) per diminuire lo stress sulle giunture ed evitare che le dita si pieghino troppo, invece di mantenere il polso flesso come scimpanzé e bonobo che sono dotati di una serie di creste e concavità ossee atte proprio ad evitare questo piegamento eccessivo. Inoltre, non solo la camminata sulle nocche sembra essersi evoluta separatamente e in due maniere diverse nei due generi Pan e Gorilla, ma molte caratteristiche che tra gli scimpanzé e i bonobo servono a rendere più efficiente questo tipo di locomozione si ritrovano tra numerose scimmie arboricole e non tra i gorilla. Da ultimo, i due ricercatori fanno notare come molte di quelle stesse caratteristiche che condividiamo con scimpanzé e gorilla e che si erano sempre pensate come adattamenti alla camminata sulle nocche sono in realtà presenti addirittura in alcune specie di lemuri e quindi sono più probabilmente il residuo di un adattamento alla vita tra gli alberi, piuttosto che al suolo.

Più precisamente, Kivell sostiene che i particolari adattamenti di scimpanzé e bonobo potrebbero essere stati fissati dal processo evolutivo per la necessità di stabilizzare il polso nel passare da un ramo all'altro, un'operazione che richiede una presa salda e sicura. Osservando i resti fossili dei nostri antenati vissuti dopo la divergenza evolutiva col ramo che porterà al genere Pan, la transazione dagli alberi alla savana aperta appare come un processo lungo, che vide un lungo periodo “ibrido” nel quale questi antichi ominini cominciarono a passare sempre più tempo al suolo continuando però ad affidare grossa parte delle proprie chance di sopravvivenza alla protezione offerta dagli alberi: proprio a questo scenario evolutivo sembrerebbe adattarsi perfettamente l'ipotesi “dagli alberi al bipedismo”, che trae nuova forza dallo studio di Kivell e Schmitt. Per quanto questa ipotesi non possa ancora dirsi totalmente provata, e gli stessi autori dello studio si dicono intenzionati a cercare nuove evidenze negli anni a venire, ha probabilmente segnato un punto decisivo in una delle più lunghe diatribe riguardanti l'evoluzione umana.

Riferimenti:

Tracy L. Kivell, Daniel Schmitt, “Independent evolution of knucklewalking in African apes shows that humans did not evolve from a knucklewalking ancestor”, PNAS, Published online before print August 10, 2009, doi: 10.1073/pnas.0901280106


domenica 25 ottobre 2009

Pochi Neandertal per un grande continente

Una volta in Europa era tutta campagna

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia


Sono arrivati prima di noi nel Vecchio Continente e fino ad oggi sono quelli che lo hanno abitato più a lungo, ma nonostante questo incontrare un uomo di Neandertal in quell'epoca sarebbe stata egualmente un'impresa, o perlomeno lo studio condotto presso il Max Planck Institute of Evolutionary Anthropology di Leipzig da Svante Pääbo e Adrian Briggs e pubblicato su Science sembra dirci questo.

I due scienziati, famosi per aver messo a punto nuove tecniche per studiare mtDNA e DNA raccolti da reperti fossili (in particolare questo studio è stato reso possibile da una nuova tecnica, la primer extension capture, ideata da Briggs e molto meno costosa delle precedenti) e per aver lavorato a lungo al progetto genoma Neandertal, hanno analizzato i resti di sei individui vissuti tra i 70.000 e i 35.000 anni fa, l'ultimo periodo che ha visto la presenza Neandertal in Europa, e provenienti da diverse aree dell'Europa in cerca di informazioni riguardanti la variabilità genetica della nostra specie sorella. Da tempo si era ipotizzato che una delle possibili cause (o concause) della scomparsa di Homo neanderthalensis fosse da legare ad un basso tasso di fecondità o in generale a una scarsa presenza numerica, e scavi archeologici oltre che le analisi del DNA mitocondriale già effettuate avevano permesso di intuire come i Neandertal non vivessero in comunità molto numerose; la ricerca di Pääbo e colleghi non è quindi rivoluzionaria, ma è certamente la più completa e dirimente mai svolta finora in questo ambito.

In particolare, la variabilità genetica nel DNA mitocondriale di questa specie, solo 55 basi su 16000 tra i sei esemplari studiati, appare nel lavoro del gruppo di ricerca tre volte meno cospicua di quella presente negli uomini moderni, il che porta loro a stimare in circa 3500 gli individui di sesso femminili (più altrettanti maschili) presenti contemporaneamente in quel lungo periodo di tempo, e forse per tutta la storia di questa specie. Una stima del genere avrebbe una curiosa implicazione: i Neandertal sarebbero stati una specie a rischio praticamente dalla loro comparsa o comunque molto prima del nostro arrivo in Europa. In realtà gli stessi autori ammettono che il numero esiguo di campioni analizzati e il fatto che il DNA utilizzato fosse di tipo mitocondriale potrebbero aver portato a un risultato troppo basso, e una nuova stima ottenuta mediante un confronto con la popolazione finlandese attuale ha portato a un risultato leggermente maggiore: 70.000 individui, ad ogni modo ancora pochi.

Non sono mancate le critiche a questo studio, in particolare l'antropologa Anna Degioanni dell'università del Mediterrano di Marsiglia fa notare come la porzione di DNA mitocondriale utilizzata per la ricerca sia poco soggetta a mutazioni rispetto ad altre, che però si sposa bene con uno scenario già dedotto da altre tipologia di dati. Insomma, forse la stima è esageratamente bassa, ma all'interno di quel complicato puzzle riguardante la scomparsa dell'uomo di Neandertal il tassello del loro scarso numero è con tutta probabilità uno dei più rilevanti, e lo studio di Pääbo e Briggs permette certo di dare ad esso una forma più precisa.


Riferimenti:

giovedì 22 ottobre 2009

Scatti selvaggi


Anche quest'anno il Natural History Museum di Londra delizia i suoi visitatori con una raccolta di fotografie naturalistiche mozzafiato (in quella sopra, uno splendido esemplare di Panthera leo si butta a riposare sul suolo dopo un lauto pasto, sì, quello è sangue), se non potrete recarvi nella City per tempo, però, temo che dovrete accontentarvi come me della galleria online.

p.s. Se qualcuno avesse una versione ingrandita e me la mandasse all'indirizzo email in alto a destra sarei davvero, davvero grato (stranamente questa si trova solo su NewScientist a queste dimensioni)


mercoledì 21 ottobre 2009

Teach *THIS* controversy






(Ho dovuto splittare la striscia in 4 per colpa di blogger)

giovedì 15 ottobre 2009

Gli occhi nuovi del pipistrello

Pezzo scritto originalmente per Pikaia

In inglese si dice “Blind as a Bat” (“cieco come un pipistrello”), ma a quanto pare l'espressione è decisamente infelice se come rivela uno studio pubblicato su PlosOne da un gruppo di ricerca del Max Planck Institute for Brain Research di Francoforte e del dipartimento di Neurologia dell'università di Oldenburg questi animali stupendamente adattati (sono gli unici mammiferi dotato di volo battente e messi tutti assieme rappresentano un quinto del numero totale di specie nella classe dei mammiferi) non solo fanno affidamento sul senso della vista, ma perlomeno alcuni di loro sono tra i pochi mammiferi a possedere anche la visione a ultravioletti.

La retina dei mammiferi può contenere due tipi di fotorecettori: i coni per la normale visione diurna e i bastoncelli per la visione notturna o con luce scarsa, e a seconda dello stile di vita a cui si è adattato ogni mammifero possiede questi ultimi o entrambi. I coni di molti mammiferi, inoltre, possiedono due popolazioni di pigmenti (noi umani assieme a tutte le scimmie del Vecchio Mondo e alcune di quelle sudamericane ne abbiamo tre), L e S, capaci di assorbire due diverse lunghezze d'onda: quelle lunghe del verde/rosso e quelle corte del blu/violetto. Il pigmento capace di intercettare queste ultime, in particolare, si è evoluto da quello che serviva, e serve ancora solo in pochissimi tra gli esemplari della nostra classe, a catturare i raggi ultravioletti (in pratica il pigmento in questione si è “spostato” di frequenza).

Com'è strutturata quindi la retina dei pipistrelli? Innanzitutto c'è da dire che l'ordine dei Chirotteri è suddiviso in due sottoordini: i microchirotteri (detti anche “veri pipistrelli”) e i megachirotteri o pipistrelli della frutta (ne fanno parte ad esempio le volpi volanti, i pipistrelli viventi più grandi). Proprio due microchirotteri dotati come tutto il sottoordine di occhi molto piccoli con retine dominate dai bastoncelli , Glossophaga soricina e Carollia perspicillata, sono stati oggetti dello studio. In un un primo tempo i ricercatori hanno trattato le retine di questi pipistrelli con anticorpi specifici per i vari pigmenti, scoprendo così la presenza di una percentuale minima, tra il 2 e il 4% del totale, di coni in mezzo alla moltitudine di bastoncelli. Possono sembrare pochi, ma studi effettuati su animali che ne presentano una quantità simile hanno dimostrato come questa permetta tranquillamente la visione diurna. L'analisi genetica dei pigmenti che normalmente permettono la visione delle frequenze corte, inoltre, ha permesso di determinare come i pipistrelli utilizzino i pigmenti S non per il blu/violetto ma per captare invece le frequenze dell'ultravioletto.

Già uno studio di qualche anno fa in realtà aveva dimostrato la capacità di individuare la radiazione ultravioletta in un pipistrello della frutta, Glossophaga soricina, ma all'epoca non era stato possibile individuare coni nella retina di questa specie e si era quindi attribuita questa abilità a qualche proprietà dei coni; questo studio, quindi, permette di comprendere meglio il funzionamento di questa caratteristica anche in altre specie oltre a quella direttamente studiata, oltre che a estenderla a un altro sottoordine dei chirotteri. Essere dotati sia di visione dicromatica che di visione ultravioletta è un notevole adattamento, molto utile in specie come i pipistrelli che sono attive dal tramonto all'alba e ne abbisognano sia per evitare i predatori sia per procurarsi il cibo (molte specie di fiori alle quali si approvvigionano i megachirotteri riflettono i raggio UV, ad esempio), ed è solo un altra delle spiegazioni l'incredibile successo evolutivo di un ordine diffuso in quasi tutto il mondo.

Riferimenti:
Müller B, Glösmann M, Peichl L, Knop GC, Hagemann C, et al. “Bat Eyes Have Ultraviolet Sensitive Cone Photoreceptors”. PLoS ONE, 4(7)

martedì 13 ottobre 2009

[Recensione] Il libro dell'ignoranza sugli animali

Non si finisce mai di scoprire, per fortuna

Sono abbastanza sicuro che molti di voi geek abbiate scartato "Il Libro dell'Ignoranza sugli Animali" quando, durante i vostri ciclici raid in libreria in cerca di qualcosa di nuovo da dare in pasto alla materia rosa (tanto per entrare subito in clima, dato che nel precedente libro gli stessi autori spiegavano che da vivi il cervello, essendo irrorato di sangue, ha questo colore piuttosto che il grigiolino post-mortem), sfogliando i libri della sezione scientifica ve lo siete ritrovato davanti. Lo so perché anch'io l'ho fatto, salvo poi ritrovarlo nelle segnalazioni di lettura dell'ultimo numero di LeScienze e pentirmene un poco. Sarà stato l'effetto tarpone (avrà sicuramente un nome vero ma a me piace questo), ma quando sono andato in libreria a comprare un regalo per la sorella questo libro mi è letteralmente caduto tra le mani, quasi a ricordarmi la mia snobberia, e non ho potuto fare a meno di comprarlo.

Potrei chiudere la recensione con una sola parola: AMAZING! ma tanto vale scrivere qualche riga in più, non credo ci sia molta gente che mi prende sulla parola.

Forse è meglio spiegare che quell'amazing non è tanto riferito al libro, che di per sé è scritto molto bene ma non è un capolavoro della letteratura (per fortuna), ed è invece tutto ciò che riuscirete a dire man mano che andrete avanti con la lettura. A essere amazing è l'insieme delle tecniche bizzarre, ovviamente solo dalla nostra prospettiva limitata, che sono comparse nel mondo animale grazie al processo evolutivo. Ci sono talmente tante specie diverse là fuori che probabilmente nessuna persona al mondo potrà mai vedere esemplari di nemmeno un decimo di loro, e ognuna di queste specie è a modo suo unica: riuscite a a immaginere quante possibili diverse combinazioni di caratteristiche vengono sperimentate in questo momento dal mondo animale? bene, ce ne sono molte, molte di più, e non avete idea di cosa la Natura è riuscita a "inventarsi".

Questo libro vi farà conoscere i segreti meno noti di un centinaio di specie, alcune delle quali così comuni che probabilmente avete vissuto assieme a una di loro, regalandovi qualche oretta di intrattenimento (sono 300 pagine) e, si spera, una dipendenza che solo ore di National Geographic potranno tenere a bada in seguito. Il formato è molto pratico, il libro è diviso in capitoletti di massimo 3 pagine ognuno dedicato a una sola specie o genere, e le illustrazioni sono dei piccoli capolavori, disegnate non a caso da un ingegnere, che fanno sembrare le spiegazioni della fisiologia animali progetti per costruire dei futuristici cyborg. 16 euro possono sembrare tanti, ma un libro come questo lo sfoglierete più di una volta, garantito (e in più è ricco di storielle da raccontare per rimorchiare, quantomeno se il vostro territorio di caccia è il bar davanti alla facoltà di Biologia).

p.s. Il tutto viene da una trasmissione della Bbc, QI, uno dei tanti esempi di quanto all'estero diano la polvere ai nostri media (e dire che importiamo così tanti format televisivi!) specialmente per quanto riguarda la capacità di divulgare e raccontare la scienza.

mercoledì 7 ottobre 2009

Tutto su Ardi

Pezzo scritto originalmente per Pikaia e pubblicato giusto oggi, lo riporto qui fresco di stampa

Era qualche anno che si aspettava questo momento, fin dallo studio svolto sui primi reperti e pubblicato più di un decennio fa, e finalmente Ardipithecus ramidus fa in questi giorni la sua entrata in scena in grande stile con uno speciale totalmente dedicato su Science (liberamente accessibile, dopo una semplice registrazione gratuita, a questo indirizzo); cosa c'è di tanto interessante, e importante, in questo ominide vissuto circa 4 milioni di anni fa? Fno ad oggi, al di là del valore che ogni fossile di ominide così arcaico ha di per sé, potevamo solo intuirlo. I nuovi reperti recuperati dal gruppo di ricerca diretto da Tim White, però, hanno contribuito a ricostruire questo nostro possibile antenato (non è scontato difatti che si trovi direttamente sulla nostra linea di ascendenza, anche se è probabile) meglio di quanto non fosse mai stato fatto con un reperto così antico, rendendo così possibili osservazioni cruciali sull'evoluzione dei nostri antenati pliocenici e sull'aspetto degli antenati comuni, vissuti un paio di milioni di anni prima di Ardi (questo il nomignolo del fossile-tipo di Ardipithecus ramidus), tra noi e gli scimpanzé.

Ardi è, per usare le parole di Tim White, uno “strano collage”, e in generale assomiglia agli ominidi successivi molto più di quanto ci si aspettasse; cosa significa tutto questo? Vediamo prima in dettaglio di cosa stiamo parlando. La parte superiore del corpo di questa specie ci racconta di una vita passata sugli alberi: braccia lunghe e grandi mani dalle dita curve per muoversi tra le fronde aggrappandosi ai rami con presa salda. Fin qui niente di strano, sono adattamenti che ritroveremo anche nelle cronologicamente successive australoopitecine e nelle antropomorfe odierne, ma se si scende fino al bacino e oltre cominciano le sorprese: a quanto pare Ardi passava del tempo al suolo camminando su due piedi, senza aiutarsi con gli arti superiori.

Le ossa delle pelvi, per prima cosa, sono molto diverse da quelle degli scimpanzé e dei gorilla: in queste scimmie antropomorfe, che a terra camminano sulle nocche delle mani, sono quasi piatte e formano un apertura più stretta, mentre in Ardipithecus ramidus hanno una forma maggiormente “tondeggiante” e assomigliano di più a quelle delle australopitecine e degli ominidi nostri antenati di là da venire. Questa forma delle pelvi è un evidente adattamento per la posizione eretta, in quanto dona un supporto maggiore alle viscere durante la camminata bipede. Se si osserva il femore inoltre le prove che si spostasse in questa maniera sul terreno aumentano, perché questo formava con tibia e perone un angolo invece di disporsi in linea retta: un altro indizio che ci permette di affermare con sicurezza almeno una cosa: Ardi non camminava sulle nocche. Non bisogna però pensare a lui come a uno scimmione che se ne andava tranquillamente a passeggio per la savana, perché è molto probabile che camminasse solo ogni tanto su due piedi e passasse invece la buona parte della sua vita sugli alberi. Se si osserva il piede, in particolare, si nota che questo presenta un alluce estremamente divergente molto simile a quello delle antropomorfe, che inoltre è piatto invece che arcuato come il nostro ma, a differenza di gorilla e scimpanzé, possiede quel piccolo osso che nelle scimmie non antropomorfe (e negli esseri umani) permette di mantenere il piede rigido. Ardi poteva quindi compiere solo brevi tragitti con un incedere che a noi sembrerebbe goffo (probabilmente ondeggerebbe un po', come le anatre), e tuttavia la sua locomozione era molto diversa da quella delle scimmie antropomorfe oggi viventi, tanto che i recenti studi che hanno proposto una locomozione diversa da quella di scimpanzé e gorilla per i nostri antenati comuni con loro (Pikaia ne ha parlato qui) ricevono ulteriore credito da questo ominide pliocenico.

Lo speciale di Science affronta anche gli aspetti riguardanti all'ambiente abitato da questa specie, che secondo l'ipotesi del gruppo di studiosi scendeva così spesso al suolo perché aveva una dieta molto più generalizzata degli scimpanzé odierni e quindi necessitava di sfruttare nuove fonti di cibo; tuttavia gli aspetti più interessanti (che occupano gli ultimi due articoli) sono sicuramente quelli riguardanti le implicazioni che Ardi ha per quanto riguarda l'aspetto del nostro antenato comune degli scimpanzé e il suo posto nella nostra filogenesi.

A quanto pare scimpanzé e gorilla si sono specializzati, lungo il corso dei milioni di anni, molto più di quanto (forse ingenuamente) non si fosse portati a credere. Generazioni di scienziati hanno considerato le antropomorfe africane come delle buone approssimazioni del nostro antenato comune con loro, ma questo e altri studi (come le già ricordate ricerche che mettono in dubbio l'origine comune della camminata sulle nocche per scimpanzé e gorilla) ci aiutano finalmente a perdere quella che forse è l'inconscia arroganza di voler essere “più evoluti” dei nostri “cugini” africani. A quanto pare entrambi siamo cambiati molto nel differenziarci dal nostro antenato comune: non siamo quella scimmia speciale che ha deciso di “elevarsi” lasciando indietro le altre, come spesso può capitare di pensare ai più ingenui.

Per quanto riguarda il posto di Ardi nella filogenesi degli ominidi, invece, la situazione si fa più difficile da districare. La proposta di Tim White, coerente con le sue teorie espresse già negli anni passati, è che Ardipithecus ramidus sia una cronospecie, ovvero uno stadio particolare di una lunga e diretta linea di discendenza, di una stessa specie che sarebbe “cominciata” con Ardipithecus kadabba e proseguita attraverso Australopithecus anamensis fino ad Australopithecus afarensis, dopo il quale la linea si sarebbe divisa in due: da un lato le altre australopitecine, dall'altro gli uomini. Non eventi continui di speciazione, quindi, ma una lunga linea di discendenza che man mano ha preso forme diverse per adattarsi al mutare dell'ambiente. Assieme a questa, in ogni caso, gli autori dello studio presentano altre due ipotesi in contrasto con la precedente: potrebbe esserci stato un evento di speciazione tra l'ultimo Ardipithecus e il primo Australopithecus oppure Ardipithecus ramidus potrebbe essere il frutto di una divisione ancora più antica nel ramo degli ominidi. La sistemazione di un reperto così antico in una filogenesi porta sempre con sé notevoli difficoltà e si presta spesso più che altro a essere utilizzato per confermare le proprie ipotesi di partenza: per questi motivi non mancheranno certo discussioni e diatribe, ma queste sono spesso il vero motore delle ricerche scientifiche.


Da qui si accede agli 11 articoli dello speciale di Science
Da qui si accede ad una galleria d'immagini
Da qui si accede ad alcune interviste a Tim White (1, 2, 3, 4)

domenica 4 ottobre 2009

Arriva Ardi

Sto preparando il pezzo per Pikaia, nel frattempo siccome forse avrete sentito che Ardipithecus ramidus (un ominide molto molto antico, molto più della famosa Lucy per dire) ha finalmente un buon numero di ritrovamenti fossili e uno speciale tutto tuo su Science (a proposito, potete averlo con una semplice registrazione gratuita!) qualche buon link per chi proprio non sa aspettare (e legge l'inglese).

Ecco a voi quindi:

Il prevedibilmente ottimo post di Laelaps

Zinjianthropus uno e due


Immigrati dell'età della pietra

L'arrivo di Homo sapiens in Europa

Pezzo originalmente pubblicato su Pikaia


Cosa è successo tra 48.000 e 30.000 anni fa, ovvero nel periodo compreso tra la prima attestazione della presenza sapiens in Europa e il momento in cui solo questa specie di Homo abitò il continente? John Hoffecker ha recentemente fatto il punto della situazione in un bell'articolo scritto per PNAS, offrendo una buona occasione per riassumere brevemente le conoscenze a riguardo anche qui, rimandando comunque a questo lavoro per una trattazione particolarmente esaustiva. L'uomo anatomicamente moderno si è evoluto in Africa e ne è poi uscito per diffondersi in tutto il mondo un poco alla volta, ma quando e come è arrivato in Europa? inoltre, qui ha incontrato un altra specie umana, i Neandertal, com'è stato il loro incontro? sono domande alle quali è complicato rispondere, il che le rende particolarmente interessanti. Ci sono alcuni motivi in particolare che rendono difficoltose queste ricerche, innanzitutto la natura dei ritrovamenti che finora hanno restituito scarsissimi reperti umani e che perlopiù consistono in strumenti litici non sempre facilmente attribuibili.

Le prime evidenze di presenza dell'uomo anatomicamente moderno in Europa risalgono a 48.000 anni fa e sono localizzate nell'area centro-sud-orientale del continente, tra la Polonia e la Bulgaria. La loro attribuzione è basata unicamente sul ritrovamento di artefatti, assegnati alla cultura Bohuniaziana (dal sito di Brno-Bohunice in Moravia), molto simili a quelli ritrovati nel Vicino Oriente (Israele, Libano e Turchia) e appartenti all'industria litica chiamata Emiranom incontrovertibilmente associata con l'uomo anatomicamente moderno, tuttavia è ormai accettata da buona parte degli archeologi. Similmente anche ritrovamenti più recenti, databili a circa 45.000 anni fa, in Europa centro-meridionale di strumenti litici detti Proto-Aurignaziani sono attribuiti all'uomo anatomicamente moderno solo sulla base della somiglianza con un cultura, l'Ahmariano, del Vicino Oriente e incontrovertibilmente sapiens. Questi due gruppi di testimonianze rappresentano molto probabilmente le due ondate migratorie con le quali Homo sapiens è arrivato inizialmente in Europa dal Vicino Oriente e attraversando i Balcani, segnando l'inizio di una nuova era per questo continente. Altre vie d'ingresso, come la penisola Iberica e il Caucaso, sembrano meno probabili poiché in queste aree l'uomo di Neandertal è presente fino a un'epoca molto tarda.

I siti di cui si è detto fin qui, così come quelli dell'Europa centrale dove si ritrovano le stesse culture litiche, mostrano inoltre un ulteriore aspetto dell'immigrazione sapiens in Europa: innovazioni negli strumenti litici e nell'organizzazione dei siti, che in seguito si succederanno a una velocità vertiginosa permettendo il perfetto adattamento dell'ambiente alle esigenze della nostra specie. Se infatti in un primo momento questa venne favorita dal clima divenuto temporaneamente più mite, uno dei motivi per cui l'Homo sapiens riuscì ad affermarsi in una nicchia ecologica per la quale i Neandertal erano decisamente più adattati fu un costante progresso tecnologico, che adattava sempre meglio l'ambiente alle esigenze della specie.

La questione del rapporto tra Homo sapiens e Homo neanderthaliensis è infine complicata da due ordini di testimonianze che apparentemente si contraddicono a vicenda: da un lato l'analisi del genoma dell'uomo contemporaneo, dei CroMagnon e dei Neandertal indica come questi ultimi non abbiano lasciato tracce nel nostro DNA (sia nucleare che mitocondriale), dall'altro lato alcuni reperti ambigui e apparentemente ibridi (se n'è parlato anche qui su Pikaia) sembrano raccontare una storia diversa, e alcuni ritrovamenti di strumenti costruiti da un taxon con le ossa dell'altro complicano il quadro. Comprendere la maniera in cui l'uomo anatomicamente moderno si è affermato in Europasarà difficile finché non verrà risolta la questione del rapporto coi Neandertal, tuttavia questa è probabilmente la sfida più interessante per chi si occupa dell'Europa preistorica.

Riferimenti

John F. Hoffecker, "The spread of modern humans in Europe", PNAS

venerdì 2 ottobre 2009

L'ingegnere della giungla

scimpanzé e cassette degli atrezzi


Pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Anche dopo cinquantanni di ricerca sul campo gli scimpanzé non smettono di stupire per il loro modo ingegnoso e flessibile di costruire strumenti e trovare nuove soluzioni per sopravvivere. I risultati del recente studio pubblicato sul Journal of Human Evolution da Christophe Boesch, del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig, e svolto tra gli scimpanzé dell'Africa centrale (Pan troglodytes troglodytes) a Loango in Gabon confermano difatti le scoperte fatte da Sanz e Morgan, ricercatori presso lo stesso istituto, nel triangolo di Goualougo nella vicina Repubblica Democratica del Congo, recentemente riesaminate dagli stessi autori per l'International Journal of Primatology.

Quello che colpisce maggiormente dei comportamenti di uso di strumenti osservati in questi due siti e che non è stato ancora riscontrato in altre zone dell'Africa è una caratteristica particolarmente raffinata, ovvero l'uso seriale di utensili e quindi la creazione di veri e propri “set” utilizzati poi per raggiungere lo scopo prefissato. L'innovazione tecnologica più interessante tra quelle osservate daBoesch è rivolta a recuperare il miele dagli alveari, sia quelli sotterranei che quelli posti sugli alberi a venti metri di altezza o al livello del terreno all'interno dei tronchi caduti al suolo: in questi casi gli scimpanzé possono rompere l'alveare con un grosso ramo, allargare il buco con una leva più piccola e quindi inserire un ultimo ramoscello, ancora più sottile, per estrarre il miele. In alcuni casi, infine, sono stati visti gli scimpanzé utilizzare pezzi di corteccia per raschiare ulteriore miele dall'alveare e, ancora più interessante, sottili sonde per individuare gli alveari sotterranei. Questa fonte di cibo non sembra particolarmente nutritiva in rapporto alle energie utilizzate per ottenerla, e si può dire che l'unico scopo che spinge questi animali a utilizzare una sequenza di cinque strumenti, la più lunga mai registrata, sia la golosità.

Una fonte di cibo più tipica della specie sono le termiti, e uno dei set di strumenti osservati da Sanz e Morgan riguardanti questo tipo di approvvigionamento ricorda molto i risultati dello studio di Boesch. Tra gli scimpanzé del triangolo di Goualougo capita infatti che termitai sotterranei vengano dapprima individuati con sonde sottili, quindi raggiunti scavando con un bastone reso appuntito e infine “pescati” alla classica maniera degli scimpanzé. É bene precisare che anche a Goualougo gli scimpanzé si nutrono di miele estratto dagli alveari, seppure non lo estraggono dagli alveari sotterranei, e in buona sostanza gli scimpanzé di queste due aree condividono comportamenti simili che fanno pensare a un'origine comune e a una trasmissione regionale per via culturale, cosa di cui questi animali sono ormai quasi univocamente considerati capaci.

Le implicazioni di queste scoperte sono notevoli, specialmente se si considerano altre osservazioni fatte in questi due luoghi. Lo stesso ramo, ad esempio, è a volte lavorato in due maniere diverse per lato così da servire a due scopi diversi, e in generale queste scimmie ottengono strumenti diversi dallo stesso materiale di partenza, ovvero una particolare pianta che può essere usata per pescare sia termiti che formiche arboricole a seconda della maniera in cui viene preparata. Sembra quindi fuor di dubbio che comprendano la funzione degli strumenti che creano, e che li costruiscano in funzione di essa. Il semplice fatto di utilizzare serie di strumenti inoltre dimostra la loro raffinata capacità di progettare le loro azioni in vista di uno scopo futuro, specie se si considera che strumenti particolarmente pesanti come il primo della sequenza del miele (quello utilizzato come ariete per creare un buco nell'alveare) vengono lasciati vicino all'alveare a svariati metri di altezza per essere riutilizzati in futuro invece che lasciati cadere al suolo come capita agli altri utensili.

L'ipotesi di Sanz e Morgan sul perché queste raffinate tradizioni tecnologiche si trovino solo qui in Africa centrale è che queste siano nate per necessità, dato che nella regione gli scimpanzé convivono con i gorilla in molte aree, e poi tramandate alla maniera in cui tanti altri comportamenti del genere si sono fatti strada tra le popolazioni di scimpanzé in Africa. Inoltre prende sempre più forza l'ipotesi che anche prima dell'emergere della cultura olduvaiana circa 2,5 milioni di anni fa i nostri antenati facessero uso di strumenti complessi, ricavati non dalla pietra ma da altri materiali troppo facilmente deperibili per poter essere ritrovati oggi negli strati archeologici.

Una cosa certa, ad ogni modo, è che queste nuove scoperte rendono ancora più labili le differenze tra gli strumenti dell'uomo e quelli delle scimmie antropomorfe. Il vecchio concetto di Homo faber, che marcava un confine tra noi e i nostri parenti prossimi, si scontra quindi e per l'ennesima volta con Pan, la scimmia che da cinquantanni ci ricorda da dove veniamo.


Riferimenti:

Crickette M. Sanz and David B. Morgan, "Flexible and Persistent. Toolusing Strategies in Honeygathering by Wild Chimpanzees", International Journal of Primatology Volume 30, Number 3, June 2009

Christophe Boesch, Josephine Head and Martha M. Robbins, "Complex tool sets for honey extraction among chimpanzees in Loango National Park, Gabon", Journal of Human Evolution

martedì 29 settembre 2009

[Fwd] Conferenze gratuite al Museo di Storia Naturale di Milano

mi è arrivata giusto oggi una mail:

Il Centro Studi Faunistica dei Vertebrati
della Societa` Italiana di Scienze Naturali

presenta

In viaggio con la natura
Esperienze naturalistiche raccontate in prima persona

Museo Civico di Storia Naturale di Milano
Aula Magna
ore 21
ingresso libero


più in dettaglio le tre serate saranno:

- 27 ottobre 2009
Ospiti discreti nei parchi italiani.
Insieme a Francesco Tomasinelli, biologo e fotogiornalista, e Laura Floris, giornalista e condirettore della Rivista della Natura (Edinat), parliamo di curiosi fenomeni del mondo degli anfibi e dei rettili di casa nostra e andiamo alla scoperta della Rivista della Natura e delle Guide alle aree protette italiane (Edinat). Sarà l’occasione per visitare alcuni luoghi con l’occhio dell’erpetologo e scoprire comportamenti inconsueti.
Moderano l’incontro Anna Pisapia, giornalista scientifica, e Anna Rita Di Cerbo, erpetologa e ricercatrice del CSFV

- 10 novembre 2009
Paradisi europei del birdwatcher.
Giuseppe Brillante, giornalista e fotoreporter, e Stefano Brambilla, giornalista, autori del libro Birdwatching In Europa (Muzzio), ci illustrano alcune delle mete irrinunciabili dove osservare gli uccelli nel vecchio continente. Capiremo i trucchi per diventare birdwatcher provetti, senza dimenticare il galateo e il rispetto per l’ambiente.
Moderano l’incontro: Anna Pisapia, giornalista scientifica, e Stefano Aguzzi, ornitologo e ricercatore del CSFV.

- 24 novembre 2009
L’Ecuador di Darwin.
Marco Ferrari, giornalista scientifico, ed Emanuele Serrelli, biopedagogista, raccontano la loro esperienza in Ecuador, sulle tracce del grande naturalista inglese, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della nascita. Prendendo spunto dal libro Viaggio di un naturalista intorno al mondo di Charles Darwin (Einaudi), vedremo l’attualità delle scoperte che fece allora.
Moderano l’incontro: Anna Pisapia, giornalista scientifica, e Carlo Biancardi, biologo e viaggiatore.

Imho già la combinazione scienza+natura+ingresso libero dovrebbe farvi correre a svuotare l'agenda, e vi ricordo che non stiamo parlando di noiose lezioni universitarie sulle interazioni reciproche degli elementi della tavola periodica* ma di gente che racconta com'è farsi una scampagnata naturalistica in posti stupendi, ma se proprio non siete interessati al birdwatching (pazzi!) almeno non perdetevi Ferrari e Serrelli che, ok sono dei pikaiani come me e potrei quindi essere un filo parziale, meritano ogni minuto del vostro tempo.

Ah, un'ultima importante cosa:

Sede delle conferenze: Museo Civico di Storia Naturale, corso Venezia 55, Milano, tel. 02 88463280 - Info-Point 02 88463337
Come arrivare: M1 Palestro - Passante ferroviario P.ta Venezia




* btw noiose si fa per dire, e a proposito di elementi e reazioni segnalo questo spassosissimo video, il regalo giornaliero di Facebook (di cui sto cominciando a scoprire l'utilità)

venerdì 18 settembre 2009

La caccia alla prima scimmia antropoide si riapre

(Ho deciso che siccome scrivo saltuariamente per Pikaia e qua a destra ho messo pure un link che rimanda a una raccolta dei miei articoli scritti in quella sede, tanto valeva fare un po' di numero e ripostarli anche qui. La data è discrepante per questioni tecniche, in realtà sto postando qualche giorno dopo l'uscita del pezzo su Pikaia)

La caccia alla prima scimmia antropoide si riapre

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Asia o Africa? ecco una domanda che chi si occupa di filogenesi dei primati ha incontrato un numero incredibile di volte, e ancora una volta nuove scoperte rimescolano le carte a favore di uno dei due continenti per quanto riguarda un particolare momento della storia evolutiva del nostro ordine. In questo caso sono nuovi dati su due generi di primati vissuti circa 50 milioni di anni fa nell'Eocene, Algeripithecus e Azibius, a cambiare le carte in tavola. Considerate finora scimmie antropoidi, il gruppo, separato da lemuri, lori, galagoni e simili (che sono invece Strepsirrhine), di cui facciamo parte tra gli altri anche noi umani, la loro datazione così remota era una delle migliori frecce all'arco di chi sostiene l'ipotesi dell'origine africana di questo gruppo.

I primi fossili di Algeripithecus sono venuti alla luce nel 1992, e già da tempo si sapeva dell'esistenza di Azibius, ma in entrambi i casi si trattava di pochi frammenti che portavano con sé qualche difficoltà di attribuzione. Pubblicato sui Proceedings B of Royal Society, lo studio svolto da un team di ricercatori francesi dell'Institute de Sciences de l'Evolution dell'università di Montpellier assieme a paleontologi algerini dell'università di Tlemcen, Oran e Jijel mette finalmente a disposizione una notevole quantità di dati e fa ulteriore chiarezza sulla vicenda.

Il team di ricercatori ha lavorato nel sito di Glib Zegdou, in Algeria Nordorientale, recuperando frammenti del cranio e dei denti dei due primati, comprese alcune mandibole praticamente complete. Proprio dalle mandibole è venuto fuori uno degli indizi più rilevanti nello spostare Algeripithecus (e di conseguenza Azibius, che vi è strettamente imparentato) tra le Strepsirrhine: i canini inferiori presentano un alveolo dentario lungo e piatto, caratteristica che ben si sposa col caratteristico “dente a pettine” dei lemuri, una particolare conformazione di incisivi e canini inferiori che, orientati orizzontalmente verso l'esterno, vengono utilizzati anche per il grooming. Altre caratteristiche dei reperti hanno inoltre evidenziato in Azibius la presenza di adattamenti alla vita notturna, un'altra caratteristica notevolmente diffusa tra le Strepsirrhine.

Ricollocare questi fossili significa spostare di almeno 15 milioni di anni la data in cui si hanno prove certe della presenza di scimmie antropoidi africane, ovvero all'Egitto dell'epoca compresa tra 38 e 30 milioni di anni fa, oltre che riconsiderare la variabilità delle Strepsirrhine dell'epoca che si fa inaspettatamente vasta. Asia o Africa quindi? Questa scoperta non basta di per sé a far pendere la bilancia da un lato o dall'altro della contesa, fa però sicuramente ripartire un dibattito sul quale si era quasi certi di aver raggiunto un punto fermo.

Riferimenti:
Tabuce R, Marivaux L, Lebrun R, Adaci M, Bensalah M, Fabre P-H, Fara E, Gomes-Rodrigues H, Hautier L, Jaeger J-J et al. “Anthropoid vs. strepsirhine status of the African Eocene primates Algeripithecus and Azibius: craniodental evidence”. Proceedings of the Royal Society of London, Published online before print September 9, 2009

martedì 15 settembre 2009

Winter is coming


Se questa vignetta ti fa ancora ridere tutto ok, se la risata comincia a diventare nervosa o ti fa piangere/incazzare allora temo che anche nel tuo paese stia arrivando il creazionismo (ad oggi, poco più di un souvenir USA per chi abita da questa parte dell'oceano). Spero di non doverne parlare in futuro, anche se c'è qualche segno nefasto all'orizzonte (ma non ne parlerò, non meritano nemmeno la poca pubblicità che potrei fare loro)

lunedì 31 agosto 2009

Darwin Now!

Forse non vi eravate accorti che quest'anno fanno duecento rivoluzioni della terra attorno al sole dalla nascita di Charles Darwin, uno dei pensatori, scienziati e uomini di genio più influenti degli ultimi...beh, di sempre. La sua semplice ma incredibilmente potente idea su come il mondo che vediamo oggi attorno a noi sia pian piano diventato quello che è ha influenzato generazioni di scienziati, scrittori, artisti e chi più ne ha più ne metta. Cosa ancora più importante, il nocciolo duro di quella teoria, la sua parte essenziale, è ancora valida e utilizzata in tutte le scienze del vivente nonostante gli anni e le precisazioni che gli si sono accumulate addosso.

Ad ogni modo questo non è il coccodrillo tardivo di Charles, ma la segnalazione di una serie di incontri che da qualche tempo e per qualche mese ancora hanno luogo a Milano, nell'edificio che ospita la bellissima mostra dedicata al naturalista inglese (a proposito, non perdetevela!) e a Palazzo Besana. Alcuni incontri sono particolarmente gustosi e tutti sono molto interessanti; non vi preoccupate se non sapete molto di teoria dell'evoluzione, biologia o simili, questi appuntamenti potrebbero essere l'occasione giusta per imparare qualcosa e sicuramente non ve ne andrete senza la voglia di saperne di più.

Il programma completo lo trovate a questo link (è un pdf, apritelo nel browser o scaricatelo), il sito della mostra è questo e qui sotto riporto i prossimi appuntamenti:

- ROTONDA DI VIA BESANA | VIA ENRICO BESANA, 12 | GIARDINO |MILANO (link alle indicazioni su GoogleMaps)

3 SETTEMBRE – ore 18:30 | AlbertoMantovani
Un immunologo alla scuola dell’evoluzione

10 SETTEMBRE – ore 18:30 | Antonio Torroni
Origine e dispersione delle popolazioni umane: una prospettiva genetica

17 SETTEMBRE – ore 18:30 | Lorenzo Rook
Oreopithecus bambolii: vecchie ossa, nuove idee

1 OTTOBRE – ore 18:30 | Andrea Pilastro
L’evoluzione del sesso

8 OTTOBRE – ore 18:30 | Rudi Costa
L’evoluzione degli orologi biologici

21 OTTOBRE – ore 18.30 | Antonello La Vergata
Colpa di Darwin? Razzismo, eugenetica, guerra e altrimali

22 OTTOBRE – ore 18:30 | Aldo Fasolo
Darwin nel cervello
ingresso libero

- PALAZZO BESANA | PIAZZA BELGIOIOSO, 1 |MILANO (link alle indicazioni su GoogleMaps)

24 SETTEMBRE – ore 18:30 | Marco Ferraguti
Il dottor Darwin, suppongo?

15 OTTOBRE – ore 18:30 | Patrick Tort
L'effetto Darwin. Selezione naturale e nascita della civilizzazione

23 OTTOBRE – ore 18:30 | Umberto Veronesi
La libertà della scoperta scientifica, da Darwin a oggi.

24 OTTOBRE – ore 18:30 | Dialogo tra Luigi Luca Cavalli Sforza e Telmo Pievani
ingresso libero

mercoledì 12 agosto 2009

Testimonial di Geova

(Estate tempo di repliche, questo pezzo lo scrissi per il vecchio blog ma oggi lo stavo rileggendo e mi ha fatto ridere come quando lo scrissi perciò ecco a voi la migliore delle mie tre prese in giro dei testimoni di Geova. Ah, un'avvertenza: il pezzo è del 23 Maggio scorso e si riferisce quindi ai contenuti presenti sul sito dei Testimoni di Geova un anno fa, pertanto se andrete a visitarlo oggi non troverete gli articoli di cui parlo, ad ogni modo all'epoca non ne ho inventato nessuno)



Design accattivante, interfaccia multilingua (fino a 314!), nessuna iscrizione richiesta. Non sto parlando di un nuovo sito porno, ma bensì' (qualcuno dirà purtroppo) del sito internet dei testimoni di Geova, vero e proprio gioiellino in un web sempre più traviatore e falloinvaginacentrico.

Per chi avesse perso la propria bussola morale, o non l'avesse mai davvero trovata, ecco in un moderno e pratico formato tutte le perle di saggezza(da concedere anche ai metaforici porci nel caso dei nostri eroi, purchè siano campanellomuniti) che a scadenza più o meno regolare vengono stampate su ameni e ormai quasi introvabili giornalini (ah, la crisi delle vocazioni!). Vi mancava il numero di gennaio 2005 di "Svegliatevi!" dove si pontificava con gran sagacia sulla mancanza di spiritualità dei giovani? o quello di aprile 2003? o quello di dicembre 1998? o quello di...voglio dire, vi mancava un qualsiasi numero di "Svegliatevi" dove si pontificava sulla mancanza di spiritualità dei giovani?(in pratica tutti i numeri di questa impagabile rivista) ecco che con un po' di culo potete trovare lo stesso articolo (o uno dei tanti identici) e volendo la sede dei testimonial più vicina a casa vostra, per farvelo raccontare da chi sicuramente lo conosce a memoria.


E non finisce qui! il sito non si limita a essere un archivio di vecchi articoli (in effetti non ha una vera e propria sezione archivio), bensì un utilissimo vademecum del buon geovano o aspirante tale. Difatti, con ammirevole spirito di completezza, il sito è diviso in più sezioni: argomenti, credenze, futuro, salute; più un'appendice dedicata alle pubblicazioni a cura della chiesa di Geova (è una chiesa, no?).

Argomenti:

Apparentemente la sezione più vitale e ribollente di novità del sito, quella dove trovano spazio i temi più scottanti ed attuali, rifuggenti una catalogazione precisa come anarchici decisi a piazzare bombe morali nelle nostre coscienze. E difatti il primo della serie: "Perchè andare dal dentista? "ci sconvolge come un pugno a due mani in pieno petto che ci svegliasse durante il sonno notturno. I dentisti possono aiutarvi a evitare il grande disagio dovuto al mal di denti o alla loro perdita. Con la vostra cooperazione cercano di combattere gli effetti della placca, una patina molle formata da batteri che aderisce ai denti, non è forse una guerra santa anche questa? Un po' di cure e zac! via la placca, segno indelebile del peccato di gola. Andando avanti con gli articoli della sezione si trovano "La Bibbia: è pratica ancora oggi?" (in realtà un classico senza tempo, strano trovarlo qui) e "Il polline: vita in polvere" del quale in realtà la redazione di Scienzology sta ancora cercando di decifrare le ragione. A chiudere la sezione due brevi saggi che pongono scomode domande all'uomo della strada: "La crudeltà finirà mai?" e "Dov'è diretto questo mondo?". Un'anticipazione riguardo a questi due pezzi:"Gesù aveva previsto tutto, gnègnègnè!".

Credenze:

Sezione decisamente più soft, mescola notizie basilari sul movimento ("I testimoni di Geova: chi sono? in cosa credono?") a gossip di bassa lega sull'idolo del momento ("Chi è Gesù Cristo?"). Nell'insieme è la sezione dei geovani più conservatori, interessati più che altro a mantenere una linea sobria, di basso profilo. In quest'ottica sembra stonare l'evidente apertura al mondo della droga nel saggio "La Bibbia può aiutarvi a provare vera gioia" dove si segnalano le librerie nelle quali è possibile acquistare la speciale edizione delle Sacre Scritture foderata in pelle di rana. Confidiamo in un errore del webmaster.

Futuro:

L'unico pezzo che sembra davvero dar ragione al nome della sezione è"Quale futuro per i senzatetto?" ma in realtà si limita più che altro a constatare il problema: "Si può sperare in una soluzione definitiva" è difatti solo una domanda dal sapore retorico (e peraltro, per la scelta dei termini, vagamente inquietante). Il resto della sezione sembra non avere un vero e proprio criterio, tuttavia alcuni pezzi sono meritevoli di segnalazione."Perchè conoscere Dio?" è in effetti molto persuasivo, pare difatti che regalino un set di pentole e con le prime cento telefonate aggiungono una bicicletta con cambio shimano. "La Terra: un pianeta ideale" è poco più di un depliant turistico, ma ci sono offerte interessanti per il periodo fine agosto/inizio settembre. "C'è speranza di pace nel nostro tempo?" spicca per la sua chiarezza, limitandosi a un monosillabo: "no".

Salute:

Vero e proprio cavallo di battaglia del fronte fondamentalista geovano, il tema della salute fa sentire tutta la sua dirompenza in saggi spietati che mirano a non fare prigionieri. Vengono analizzati gli immani pericoli che si annidano nelle trasfusioni di sangue ("Trasfusioni di sangue: sono sicure?"), vera e propria strage della nostra epoca per numero di caduti sul campo, si prospetta un futuro senza malattie grazie all'intervento divino predetto da Isaia e non, come certi scientisti vorrebbero, grazie ai progressi della medicina ("Mai più malattie!") e si analizza persino il mutare del rapporto medico/paziente durante la fase storica di transizione alla fine delle mezze stagioni ("Nei panni dei medici"). Articolo interessante quello sugli steroidi ("Cosa c'è da sapere sugli steroidi?"), che ovviamente un ragazzo dabbene deve rifiutare: "Mostrerei di essere grato a Geova per avermi dato un corpo “fatto in maniera tremendamente meravigliosa” se assumessi delle sostanze che in ultima analisi lo danneggiano?’ — Salmo 139:14", sembra inconfutabile.

In chiusura, un'occhiata alle pubblicazioni segnalate:

- "Il più grande uomo che sia mai esistito", biografia molto accurata di Giuliano Ferrara (che non sospettavo nutrisse simpatie geovane). Particolarmente toccante il capitolo dedicato alla scorsa campagna elettorale, quando per le sopravvenute ristrettezze economiche il nostro ha dovuto far elemosina di verdure e uova nelle pubbliche piazze.

- "Cosa insegna realmente la Bibbia?", edizione critica delle Sacre Scritture dal taglio decisamente avanguardistico e , passateci il termine, vagamente revisionistico. L'autore suggerisce che il testo sia in realtà un vero e proprio manuale su come perseguitare un popolo.

- "Salvare la vita col sangue: in che modo?", libriccino agile ma ci assicurano efficace contenente una serie di diete dimagranti a base ematica. Pensavate ci fosse solo il sanguinaccio? in tal caso questo libro vi stupirà.

giovedì 30 luglio 2009

Wolfgang Köhler, un pioniere della moderna primatologia

Aver di meglio da fare durante la Grande Guerra

Il XX secolo, frenetico sotto molti aspetti, non mancò di esserlo nemmeno per le scienze naturali. Mentre nascevano la genetica, l'etologia, la psicologia e mentre personaggi del calibro di Julian Huxley, degno nipote di Thomas Huxley, fondavano quella che verrà chiamata Nuova Sintesi chiamando alla cooperazione specialisti sia di questi nuovi campi del sapere che di quelli più tradizionali, anche lo studio dei Primati aveva i suoi primi pionieri. In Giappone sorgeva la scuola di Imanishi, e verso la metà degli anni '50 sarebbero state compiute le famose scoperte sui comportamenti culturali dei macachi dell'isola di Koshima, mentre in Occidente l'interesse fu rivolto soprattutto agli scimpanzé tenuti in cattività, e alle notevoli capacità latenti che dimostravano di poter sviluppare.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, un giovane psicologo tedesco di nome Wolfgang Köhler rimase bloccato a Tenerife dove trovò una colonia di scimpanzé trasferitavisi per conto dell'Accademia Prussiana delle Scienze; fu così che decise di studiarne le capacità cognitive, producendo una lunga ricerca che è ormai un classico della psicologia comparata. Tra tutti quelli che si occuparono di questo tipo di ricerche in questo periodo, Köhler è probabilmente il più rilevante in quanto si può dire che abbia riscontrato praticamente ogni schema comportamentale sotteso ai comportamenti che verranno poi scoperti negli studi sul campo dopo gli anni '60, e molti se non la totalità di quelli riscontrati in genere negli scimpanzé. Non fu solo un pioniere, fu anche uno di più abili primatologi di un'epoca in cui questa disciplina praticamente non esisteva ancora.

Gli esperimenti di Köhler coinvolgevano solitamente uno stimolo, un ostacolo e un potenziale strumento per eliminare l'ostacolo: nella sua forma tipica questo esperimento consisteva nel mettere del cibo subito fuori dalla portata di uno scimpanzé e consegnarli un bastone col quale, ben presto, questi imparava a recuperare il cibo. In alcuni di questi esperimenti gli scimpanzé dovevano riuscire a procurarsi un bastone abbastanza lungo utilizzandone uno più corto (oppure impilare l'una sopra l'altra due o più cassette per raggiungere una ricompensa posta in alto), e riuscendoci dimostravano di saper attuare un minimo di progettazione delle azioni future. Un altra serie classica di esperimenti, di cui Köhler porta numerosi esempi, è inoltre quella che riguarda la costruzione o modificazione di arnesi: svuotando cassette per poterle spostare, rompendo bastoni o pezzi di legno, togliendo turaccioli da bastoni cavi per poterli congiungere ad altri e via dicendo gli scimpanzé dimostravano un grado ancora maggiore di progettualità: la capacità di adattare lo strumento ai propri scopi.

Cosa concluse Köhler da questi studi? Innanzitutto c'è da ricordare che egli dovette sempre fare i conti con l'altra faccia della medaglia delle condizioni sperimentali: queste sono sicuramente più favorevoli a elaborare prove scientifiche delle proprie teorie, e soggetti come gli scimpanzé possono essere certamente difficili da studiare in natura, ma solo osservandoli nel loro ambiente ci si può rendere davvero conto di alcune loro capacità. Köhler, che diceva “la persona che veda una scimmia antropomorfa mentre fa preparativi per un esperimento previsto nel futuro, le cui condizioni di svolgimento non sono ancora visibili, sarebbe testimone di una conquista ancora più alta...” non immaginava la facilità con cui questo comportamento è osservabile in natura, ad esempio quando alcuni scimpanzé scelgono i sassi adatti con cui aprire le noci distanti. Per via di questa mancanza di informazioni, probabilmente, e per una parsimonia nel formulare ipotesi sulle scimmie antropomorfe che gli proveniva dall'epoca in cui si trovava a vivere, era convinto che i comportamenti di queste scimmie antropomorfe, per quanto flessibili e intelligenti, fossero dettati solamente dai loro impulsi e bisogni istintivi, e che non fossero “aperti al mondo” e capaci di “conoscerlo in quanto tale”.

Insomma, per lo psicologo tedesco questi non avevano varcato ancora la barriera che stava tra gli uomini e gli animali, una barriera che forse si era spostata da quando Cartesio riteneva questi ultimi poco più che automi, incapaci addirittura di provare dolore, ma che purtuttavia reggeva ancora stabile, condizionando l'interpretazione e la ricezione di ogni nuova scoperta.

In molti seguirono l'esempio di Köhler, conducendo ogni genere di esperimenti su scimpanzé, oranghi, gorilla e gibboni, ma anche su scimmie non antropomorfe di vario genere come macachi o cebi cappuccini. I risultati furono controversi, contrastanti e segnati spesso da scarsa comprensione dei soggetti sperimentali dato che di pari passo a questi studi sulle capacità cognitive ne venivano compiuti pochi o nessuno sull'organizzazione sociale e sulla vita emotiva, né all'epoca si sapeva quanto fosse importante assicurare agli scimpanzé condizioni di vita simili a quelle allo stato naturale per ottenere da loro prestazioni in linea con le loro reali capacità. Ciò nonostante, il terreno era ormai fertile per ricerche di questo tipo e per il diffondersi di idee nuove e rivoluzionarie, che arrivarono puntuali qualche decennio dopo.

mercoledì 29 luglio 2009

Satiri e pigmei, le antropomorfe sbarcano in Europa

Troppo giovani per essere scimmie?

Non so quanti di voi abbiano mai visto uno scimpanzé, un gorilla o un orango dal vivo, chi lo ha fatto probabilmente non ne sarà uscito illeso, e non intendo fisicamente (a meno che non sia stato un po' troppo imprudente), parlo dello sgomento che sale nel vedere animali così simili a noi. Potete immaginare che effetto dovessero fare a uomini digiuni di evoluzionismo e imbevuti di religiosità?

È durante la prima metà del XVII secolo che i confusi e pittoreschi racconti che i marinai narravano da tempo su uomini selvaggi simili a bestie che si diceva abitassero le foreste remote cominciano a prendere forma concreta, sbarcando fisicamente sulle coste europee e in particolare in Inghilterra e in Olanda, due nazioni che non a caso avevano frequenti commerci con le Indie Orientali e con l'Africa. I primi esemplari furono perlopiù individui giovani (e quindi più resistenti a un lungo viaggio per mare oltre che più facili da catturare) e facevano parte di due generi soltanto, ovvero oranghi e scimpanzé (di entrambe le specie, scimpanzé comuni e bonobo), e vennero considerati per lungo tempo appartenenti a una sola specie. Questi animali presero presto il nome di ourang-outang, il nome che un medico olandese di ritorno dalle Indie Orientali aveva riferito fosse utilizzato dalla popolazione indigena per la rossiccia antropomorfa locale (ovvero l'orango, e non lo scimpanzé che invece abita l'Africa tropicale), traducibile con "uomo dei boschi". Questa confusione tra le specie di scimmie antropomorfe sarebbe stata comune per qualche decennio ancora, anche in ambito scientifico.

Inizialmente una stramberia per nobili, questi animali erano accompagnati da fantasiosi resoconti delle loro abilità, che arrivavano a comprendere ad esempio la capacità di parlare (si aggiungeva però che di norma se ne stavano zitti per non essere costretti a lavorare, i furboni). Oltre alle fantasie di marinai ed esploratori però c'era del vero nel vedere in loro abilità straordinarie per degli animali, e se forse l'affermazione di Samuel Pepys per il quale a uno scimpanzé "si poteva insegnare a parlare e a fare segni" va presa con le pinze di certo scimpanzé e oranghi stupirono chiunque li incontrasse per la loro somiglianza con la nostra specie.

Finalmente, nel 1641 viene pubblicata la prima descrizione ufficiale da parte di uno scienziato, il medico olandese Nicolaas Tulp, di quello che oggi si ritiene fosse stato uno scimpanzé o un bonobo proveniente dal serraglio dello statolder Frederic Henry, principe d'Orange. L'esame condotto da Tulp e le conclusioni a cui arrivò furono probabilmente viziati da una serie di elementi contingenti: sicuramente favole e dicerie lo seguirono passo passo nel suo studio (ad esempio non riuscì a rendersi conto che l'animale non era in grado di camminare completamente eretto), ma un ruolo importante lo giocò l'età dell'esemplare, troppo giovane per rendersi del tutto conto delle differenze tra antropomorfe e umani. Cosa c'entra l'età in tutto questo? Come descritto tra gli altri da S.J. Gould in un indimenticabile saggio sull'evoluzione della raffigurazione di Mickey Mouse nei fumetti Disney negli anni (lo trovate in "Il pollice del Panda", edito in Italia da svariate case editrici nel corso degli anni), alcune specie presentano quelli che vengono chiamati caratteri neotenici, ovvero simili a quelli presenti negli individui giovani di altre specie venute in precedenza nella successione evolutiva. Qui a destra si nota molto bene la differenza tra uno scimpanzé giovane e uno adulto (attenzione però, lo scimpanzé non è un nostro antenato diretto! è però presumibilmente molto simile ai nostri "nonni"), e se ben ricordate lo scimpanzé sezionato da Tulp assomigliava molto più all'immagine di sinistra che a quella di destra: si capisce facilmente cosa lo portò a sovrastimare le somiglianze tra quell'antropomorfa e noi.

Per tutti questi motivi arrivò a dire che tra uomo e ourang-outang le differenze fossero minime, e assegnò a questa specie il nome scientifico di Satyrus indicus credendo di aver trovato in questo animale all'apparenza troppo umano addirittura il mitologico satiro, tralaltro già descritto come reale più di un millennio prima da Plinio il Vecchio. Questa scelta, che può apparire curiosa per un uomo di scienza agli occhi del lettore contemporaneo, poggiava su un nutrito immaginario popolare che già in epoca medievale pullulava di raffigurazioni fantasiose e grottesche di uomini selvaggi simili a scimmie, dotati peraltro spesso di turpi abitudini sessuali (come peraltro il satiro della leggenda).

Qualche decennio dopo, nel 1699, è il turno di un altro medico, l'inglese Edward Tyson, di compendiare le notizie sull'ourang-outang con una meticolosa dissezione di un esemplare adolescente, probabilmente un bonobo, giunto a Londra con una nave proveniente dall'Africa nel 1698 e morto quasi subito a causa di un infezione (lo scheletro è ancora visibile al museo di Storia Naturale di Londra, e lo trovate fotografato da me stesso medesimo all'inizio di questo post). Più accurato dell'esame di Tulp, quello di Tyson mise a paragone svariate caratteristiche morfologiche dell'ourang-outang con quelle dell'uomo e di altre specie di scimmie conosciute all'epoca e individuò 48 dettagli anatomici dell'ourang-outang che assomigliavano più ai corrispondenti umani e 34 che invece ricordavano maggiormente i corrispondenti scimmieschi, tanto che Tyson chiamò l'ourang-outang “pigmeo”, una mitologica razza di nani che autori antichi e medievali volevano abitanti dell'Africa. State cominciando a pensare che dare agli animali nomi di esseri fantastici fosse una stravaganza dell'epoca? non avete tutti i torti, ma a ben guardare se qualche decennio più tardi Linneo potè classificare (solo sulla base di racconti, ovviamente) tutta una serie di creature scimmiesche fittizie nel genere Homo da lui coniato, forse tanto "fantastici" all'epoca non erano considerati.

Ad ogni modo Tyson contribuiva col suo lavoro a consolidare l'immagine dell'ourang-outang come forma di vita intermedia tra l'uomo e gli altri animali. Dove però riconosceva vicinanze notevoli dal punto di vista anatomico, Tyson precisava (sulla scorta di Descartes, autore che ebbe molta influenza sul pensiero occidentale anche in questo ambito) che come tutte le creature viventi eccettuato l'uomo l'ourang-outang non possedeva un'anima razionale, ed era quindi una specie di “automa naturale” guidato a comportamenti meccanici da impulsi e risposte istintive. L'anima razionale quindi, e non qualche tipo di differenza fisica, distingueva l'uomo dagli altri animali e in questa maniera veniva sottolineata anche l'importanza che rivestiva per questi autori la volontà divina nel decretare cosa fosse la natura umana.

Sia Tyson che Tulp, con il loro operato, diedero nuovo materiale a una tradizione già ben avviata in ambito filosofico e in via di affermazione in quello naturalistico che voleva gli esseri viventi ordinati in una vera e propria scala naturae, nella quale ognuno avesse il suo posto stabilito in una progressione crescente verso la
maggiore complessità. Questa idea, che resistette in varie forme per lungo tempo, si impose per la prima volta nella comunità dei naturalisti con Charles Bonnet e in un certo senso alcune sue implicazioni furono sempre sottintese, anche dopo la scomparsa della sua versione più letterale dal dibattito, nei numerosi autori che partirono in seguito da una concezione antropocentrica del mondo, in opposizione agli autori tesi invece a lavorare su un'ipotesi di continuità, più o meno accentuata, tra esseri umani e mondo naturale. Fatte le debite proporzioni, molta della scienza
biologica successiva si può in ultima analisi ascrivere a un confronto tra queste due fazioni.

Anche molti autori guidati da sincero spirito naturalistico e determinati ad abbandonare concezioni predeterminate e fuorvianti come quella di scala naturae non riuscirono però a rinunciare davvero all'idea che l'uomo fosse qualcosa di altro dal mondo naturale, e anche dopo la comparsa provvidenziale (anche se fa un po' ridere questo aggettivo messo qui) di Darwin e Wallace ci volle del tempo perché questa idea si facesse strada. Una strada però, è bene sottolinearlo, che se non fu aperta fu sicuramente spianata dalla comparsa di questi strani scimmioni ostinati a stupirci.

martedì 14 luglio 2009

[sciopero?] per quel che vale

Questo blog oggi non sciopera, e il perché sta tutto in questo pregiato pezzo di mfisk (nonsoabbastanza.blogspot), che da quando ho un po' smesso di scrivere l'altro blog è diventato uno dei miei punti fermi internettiani

siccome, caro lettore, sei statisticamente pigro e non cliccherai ti riassumo la questione: il DDL fa schifo ma questo sciopero è inadeguato, oltre che inutile; se ora sei curioso clicca e se vuoi un consiglio salvati quel blog tra i preferiti).

venerdì 26 giugno 2009

Otto per mille preferenze, otto per mille inganni

Ottomila buone ragioni per informarsi



L'altro giorno ero in treno (tornavo da una piacevole vacanza presso un amico abruzzese) e ho comprato, come faccio tutti i mesi, LeScienze, che per qualche motivo tuttora a me ignoto esce sempre qualche giorno in anticipo sul mese del numero corrente. Miracolosi viaggi nel tempo del corriere che porta le copie della rivista? chi lo sa, è però un'ipotesi avvalorata dal fatto che in ultima pagina ci ho trovato nientemeno che (e scusate il grassetto) la pubblicità dell'8x1000 alla Chiesa Cattolica. Ora, io non so se il redattore sia davvero alle strette, spero quasi (si fa per dire) che abbia grossi problemi finanziari per giustificare una cosa del genere, quello che però posso fare dal basso di un blog è lasciare un po' di segnalazioni e spiegare un po' cosa sia sto famoso otto per mille, visto che buona parte degli italiani non lo sa.

Innanzitutto questo video molto chiaro (via presenteduepuntozero) racconta un po' la storia di questa strana tassa che l'Italia paga al Vaticano, è fatto molto bene (al di là della cornice "intervista doppia" che sinceramente ha un po' rotto ma probabilmente penetra bene nella testa dell'uomo della strada) e vi consiglio di darci subito un'occhiata, se poi volete trattazioni esaustive vi aggiungo occhiopermille e il sito dell'uaar. Lasciamo perdere il cinque per mille, che è abbastanza chiaro, e passiamo all'otto per mille (ripeto cose che trovate nei link e nel video, ma statisticamente, caro lettore, non hai cliccato niente e quando finalmente lo farai sarà la x in alto a destra), che è molto più controintuitivo di quanto si pensi. Ad esempio, mettendo una crocetta su "Chiesa Cattolica" (si può scegliere tra sette diverse confessioni e lo Stato, o meglio a un fondo statale dedicato, teoricamente, a un certo tipo di spese), verserò l'otto per mille del mio gettito Irpef alla Chiesa cattolica? no, si tratterà invece di una specie di votazione, di una preferenza che riguarderà la distribuzione dell'8 per mille del gettito Irpef TOTALE di tutti gli italiani, col risultato che se la Chiesa, al netto dei voti inespressi che valgono un po' come gli astenuti alle elezioni, prende l'80% dei voti espressi, si prenderà anche l'80% dell'8 per mille del gettito Irpef. Confusi? ecco qualche dato per capire l'entità della questione (copincollo dal sito dell'Uaar linkato prima)

Il Ministero delle Finanze, già restìo a fornire statistiche in merito (comunica i dati alle sole confessioni religiose, che ne danno notizia con estrema riluttanza), è peraltro estremamente lento nel diffondere i dati. Le ultime comunicazioni ufficiali e definitive si riferiscono incredibilmente alle dichiarazioni dei redditi del 2003 (redditi 2002).Questa la distribuzione:

89,16% Chiesa Cattolica
8,38% Stato
0,55% Valdesi
0,39% Comunità Ebraiche
0,27% Luterani
0,22% Avventisti del settimo giorno
0,07% Assemblee di Dio in Italia

Si noti che, in tale occasione, su oltre trenta milioni di contribuenti solamente il 39,52% ha espresso un’opzione: solo il 35,24% della popolazione, quindi, ha espresso una scelta a favore della Chiesa cattolica. Per dare un’idea dell’enormità della cifra corrisposta grazie a questo meccanismo, la Conferenza Episcopale ha disposto nel 2007 di contributi per 991 milioni di euro.


In pratica quei 991 milioni di euro del 2007 sono il risultato (a patto che le percentuali del 2007 siano le stesse del 2003, cosa che assumiamo per comodità dato che è improbabile che siano variate molto) della scelta dell'89,16% di chi ha espresso una preferenza, ma solo del 31,4% dei contribuenti, pertanto la Chiesa Cattolica si è ritrovata con un buon 57,46% di gettito in più di quanto gli sarebbe spettato se l'8 per mille funzionasse come generalmente si suppone, 569 milioni e rotti. Se mi avete seguito fin qui vi sarete resi conto della machiavellicità di questo meccanismo, e non è un caso se l'Uaar si sta impegnando nel promuovere la sua abolizione. Nel frattempo che segno mettere, dato che non spuntare nulla peggiora le cose? la scelta più logica sarebbe spuntare la casella "Stato", ma un semplice esempio di come chi sia al potere ad oggi faccia uso di questi fondi spero possa dissuadervi tutti. A questo punto dismetto per un attimo la mia casacca da mangiapreti, prendo un bel respiro e cedo: date il vostro 8 per mille alla Chiesa Valdese, raccolgono abbastanza da poter essere incisivi, hanno sempre espresso posizioni incredibilmente laiche (per dei religiosi, ma anche comparate a quelle dei politici del PD per dire) e usano tutto quello che gli arriva da questa fonte per scopi rimarchevoli, senza distrarre un solo euro al sostentamento dei loro pastori.

Sperando che prima o poi si possa scegliere davvero.